Recensire un disco dei tuoi idoli ormai affermati è entusiasmante ma recensire un disco della band di un amico che dopo tante fatiche è riuscito a debuttare è davvero un'emozione incredibile!!! È sicuramente molto figo dire "ho un amico con un disco appena uscito", non è certo roba da tutti, ammettiamolo!

Io infatti conosco personalmente il tastierista Valerio Smordoni, mente principale del progetto Camelias Garden (che come da lui spesso rimproverato non si scrive con il genitivo sassone come spesso all'inizio si faceva), progetto inizialmente solista, poi completato con l'aggiunta del chitarrista Manolo D'Antonio e del bassista Marco Avallone. L'ho conosciuto tramite amici comuni (quelli che spesso vengono con me ai concerti) grazie alle conferenze su Skype che spesso tenevamo a cui anche lui partecipava. E ho avuto modo anche di collaborare con lui! Non musicalmente, non essendo io un musicista, ma conducendo insieme a lui una trasmissione radiofonica dedicata al progressive sulla web radio "JamRadio", ormai inattiva. Ci seguivano sì e no una ventina di persone ma la cosa mi appassionava comunque perché avevo a che fare con la mia passione di critico. Saranno stati una ventina, ma meglio anche solo una ventina di ascoltatori di vero prog che i milioni che si esaltano con il solito noiosissimo e ristretto gruppettino di canzoni scialbe proposto da MerdTV o da RTL 102Pippe (chiamiamo le cose con il nome appropriato, please!). Durante tale trasmissione io esprimevo pareri e opinioni sul progressive di oggi e di ieri e sceglievo metà dei brani e Valerio inseriva saltuariamente in scaletta brani dei Camelias Garden... non rivelando praticamente mai però che essi fossero la sua band, scelta forse un tantino strategica. E ho avuto anche modo di incontrare la band in occasione del loro passaggio a Milano nel giorno del mio compleanno nel maggio dello scorso anno, in cui hanno presentato qualche brano in anteprima. Pertanto la mia attesa di questo tanto cantato debut album non poteva che essere ansiosa. Ma finalmente è arrivato nel Marzo di quest'anno.

Lo stile di questa band, di cui questo debut è un chiarissimo esempio, è perfettamente in bilico fra il moderno indie folk e i suoni vintage del vecchio progressive anni '70. Ciò che suscita curiosità e che si rivela piuttosto atipico per una band progressive è essenzialmente il fatto che il sound è quasi interamente acustico, almeno per quanto riguarda le chitarre. La chitarra elettrica infatti trova pochissimo spazio, giusto qualche finestra. Ma anche le melodie risultano essere insolitamente lineari ed orecchiabili per una band che si rifà al prog classico. I brani non sembrano presentare un notevole dinamismo ritmico e strutturale. Ciò mi porta a pensare che la base principale della band sia il folk. D'altro canto però se la base e l'impalcatura sono decisamente folk i suoni che accompagnano le chitarre acustiche sono chiaramente prog. Derek Smordonian (come lo soprannomino io in virtù della sua grande ammirazione verso Derek Sherinian), sceglie i suoni dei vecchi hammond e mellotron, utilizza un harmonium e perfino un vero mini-moog (che mostra sempre con grande entusiasmo sul suo profilo facebook). Senza scordare gli interventi con il flauto (affidati all'esterno Carlo Enrico Macalli). Non mancano nemmeno inserti di violino e violoncello (anch'essi affidati a musicisti esterni). Ma il discorso stilistico è alquanto complicato e se definire il disco è così complicato vuol dire che allora la band è grande!

Ma veniamo ai singoli momenti. Il brano che meglio mostra la fusione fra folk e progressive è senza dubbio la minisuite (anzi, microsuite, visti i soli 6 minuti) "Dance Of The Sun/The Remark/Dance Of The Sun (Birth Of The Light)": qui si alternano veramente arpeggi acustici e tappeti di organi e mellotron e gli elaborati passaggi col sintetizzatore; tutto caratterizzato da un ritmo quasi da danza popolare, e aria di danza popolare si respira seriamente nella parte finale dominata da un frizzante violino. Altro brano che svetta è "Mellow Days", con una leggera prevalenza prog ma con spazio anche a fraseggi folk e alla dodici corde con un sapore vagamente di marca Genesis; non a caso il brano potrebbe far ricordare subito una "The Cinema Show" grazie ai suoi arpeggi ed al suo incedere acustico e rilassato che lascia poi spazio ad una parte più movimentata dove si respira aria di vero prog e dove tra l'altro trovano spazio anche ottime parti di chitarra elettrica; altro brano storico con cui si può trovare somiglianza è sicuramente una "Song Within A Song" dei Camel (molto amati da Smordoni) proprio per il suo diventare movimentata nella seconda parte e per il particolare uso del flauto. "The Withered Throne" invece è l'opposto, nel senso che dominano le trame acustiche e le melodie orecchiabili ma gli inserti tastieristici vintage danno conferiscono comunque un sapore prog e retrò. La strumentale "We All Stand In Our Broken Jars" è invece un concreto esempio di prog moderno che non tralascia il vintage: l'impronta è decisamente meno folk e in via del tutto eccezionale domina la chitarra elettrica, sebbene la base acustica sia presente; l'inizio, per il ritmo, per la base acustica e per la iniziale delicatezza degli inserti elettrici ricorda molto "Harvest" degli Opeth ma subito dopo gli accordi distorti prendono il sopravvento; la stessa chitarra elettrica è autrice di ottimi fraseggi intrecciati con il piano; tuttavia anche qui le tastiere sinfoniche fanno la loro parte e a chiudere il brano ci pensa il synth. Tutt'altra storia è anche l'altra strumentale, "A Safe Haven", incentrata sul pianoforte, essenzialmente molto delicato, quasi stile Wilsoniano, ma più movimentato nella parte centrale; bello anche l'intervento del flauto.

I restanti brani sono invece prossimi all'indie folk più puro, come anche al sound neo-acustico, delicato e malinconico dei Kings Of Convenience, senza però sembrare fotocopie fra di loro. L'opener "Some Stories" ha un bellissimo solo di flauto, "Clumsy Grace" colpisce con i suoi arpeggi oscuri, "'Til The Morning Came" si fa canticchiare facilmente e la conclusiva "Some Stories (Reprise)" ripropone genialmente samples delle tracce precedenti per chiudere bene il cerchio. Merita di essere menzionata a parte "Knight's Vow". Si tratta infatti del pezzo più marcatamente pop del disco... ma che gran pezzo pop! Un pop acustico in grado di colpire subito l'ascoltatore, che può essere ascoltato distrattamente senza troppa attenzione, un pezzo anche da autoradio e da supermercato, ma assolutamente non banale come ciò che gira in radio abitualmente e ad ulteriore conferma di ciò vi sono i due soli di sintetizzatore che potrebbero tranquillamente riportare alla mente brani come "Follow You, Follow Me" (il secondo assolo sembra quasi quel vecchio assolo riprodotto al contrario).

Tirando le somme possiamo tranquillamente dire che i Camelias Garden abbiano centrato il colpo fin da subito! Sono riusciti a sfornare un disco che pur essendo derivativo e ricco di ispirazioni non risulta praticamente mai qualcosa di già sentito. Questo perché i ragazzi sanno rimescolare i vari elementi in maniera assolutamente creativa e sotto un certo aspetto anche innovativa. Da notare come, soprattutto in determinati pezzi, i suoni prog old school si adattino incredibilmente alle sonorità del folk moderno quasi come se tale armonia si creasse da sola, senza la mano della band, che in realtà c'è eccome. Da elogiare poi è la capacità della band di non risultare assolutamente ripetitiva all'ascolto: i brani, nonostante le fonti di ispirazioni siano più o meno le stesse, risultano tutti piuttosto diversi tra loro; non c'è un brano uguale all'altro, ognuno sembra proprio avere una sua magia, una sua particolare caratteristica. Le risposte del pubblico comunque sono state chiare, grazie a recensioni cariche di entusiasmo e a una certa visibilità su progarchives: la band è pure comparsa fra i top 50 delle ultime 24 ore durante il periodo appena successivo all'uscita del disco. Forse possono migliorare ancora, forse hanno ancora molto da esplorare, forse il crossover fra folk e prog può essere meglio sviluppato e approfondito, ma intanto non si può fare altro che promuovere a pieni voti questo maturo esordio e affermare tranquillamente che questa band può avere un gran futuro.

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