Non è facile parlare di un album come Future Days dei Can. Oltre ad essere il quinto lavoro di Holger Czucay & soci, Future Days è un concentrato puro di genialità e sperimentazione, per un risultato semplicemente impensabile per qualsiasi disco di qualsiasi band. Almeno nel 1973. Insomma, che siano Terminator mandati indietro nel tempo o semplicemente incredibili precursori, i Can riescono a produrre un album stratosferico e assolutamente perfetto, avanti almeno trent'anni rispetto a qualsiasi lavoro di quel periodo, e ancora oggi fonte di ispirazione (e di "saccheggiamento") per numerosi artisti della scena musicale contemporanea.
Quattro tracce per trentaquattro minuti di durata complessiva, la ricetta dei Can, all'apparenza, sembra disimpegnata e alla portata di tutti, ma è sufficiente un'analisi approfondita della loro musica per scoraggiare un approccio così semplicistico al tutto. Basta ascoltare la lunga title-track iniziale, infatti, per farsi trasportare dai suoi nove minuti esplosivi, a base di ritmiche funk danzerecce e ossessive, percussioni ipnotiche e progressioni infinite dal vago sapore jazz-fusion, per le quali la semplice definizione di "rock free-form" sembra stare più stretta che mai. Le successive e brevi "Spray" e "Moonshake" sono due perle di raro splendore, la prima caratterizzata da un delirio jazz-percussivo, la seconda da minimalismo sonoro, ritmi frenetici e dalla solita coinvolgente chitarra di Michael Karoli, che fa quasi da sottofondo, un electro-funk futuristico al servizio della voce quasi sussurrata di Damo Suzuki. Da applausi. Ma il meglio deve ancora arrivare, e lo troviamo nella conclusiva ed interminabile "Bel Air", folle suite di venti minuti, in cui il rock cosmico dei Can raggiunge la perfezione, grazie soprattutto alle incredibili performance alle pelli del superlativo Jaki Liebezeit.
E così si giunge alla fine, tra chitarrine supersmooth, ritmiche impazzite e cinguettii di uccellini (si, avete capito bene!!), con la voglia di riascoltare questo capolavoro assoluto più e più volte, per scoprirne tutte le sfumature, anche quelle più nascoste, e per tentare di comprendere cosa frullava nella testa di Czukay & company nei primi anni '70. Un'opera monumentale, insomma, questo Future Days, un diretto sviluppo delle evoluzioni sonore già proposteci con il precedente Ege Bamyasi e, soprattutto, la definitiva consacrazione dei Can nella leggenda, il loro definitivo accesso in quella storia della musica che, a volte, non rende giusto omaggio a psicotici di questo calibro. Imprescindibile.
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