Nel 1974 uscì in 15.000 esemplari la "Limited Edition", quella con la copertina coi topolini, poi ampliata da 13 a 19 pezzi nel 1976 nel doppio LP "Unlimited Edition", con la copertina degli infiniti sdoppiamenti dei componenti tedeschi della band, immersi nella cornice delle metope e statue del Partenone, dalla Grecia fregate dagli inglesi all'inizio del 1800 e conservate tutt'ora illegalmente al British Museum.

Il disco è una selezione di pezzi che vanno dal 1968 al 1975, estrapolati dai fantomatici "tapes", una montagna di musica registrata e accumulata di una qualità impressionante performata prevalentemente al castello Schloss Nörvenich, il loro mitico "Inner Space" studio. Un piccolo assaggio dell'infinito materiale disponibile che non pensiate che sia di scarto, anzi nella sua sintesi di sondare un periodo di sette anni di sperimentazioni, improvvisazioni, jam e session, ci fornisce una macchina del tempo per stare appresso a quello che 'sti fenomeni hanno tirato fuori dalla loro apparizione sovrumana.

Abbiamo presenti così, oltre alla base teutonica di Karoli, Czukay, Schmidt, Liebezeit, anche i due cantanti storici Malcolm Mooney & Damo Suzuki e il disco viene così configurato nel senza tempo, ergo realtà. Musica etnica aliena, ecco che mi viene da pensare all'ascolto, mistificata ulteriormente da quelle E.F.S. (Ethnological Forgery Series) dove le reiterate falsificazioni etnologiche nascondono, più che lo scherzo, una comunicazione che si sposta sullo psichico, sulla trasmissione del pensiero.

E ritornando alla copertina i nostri eroi sembrano suggerirci nel loro infinito sdoppiamento che il corpus musicale altro non è che il rumore di tutte le loro reincarnazioni e degli eterni ritorni a venire dove, sui riflessi delle sculture di Fidia alle loro spalle, il Tempio ellenico è l'astronave astrale della compenetrazione dei loro universi, dove l'affastellamento cacofonico, e non cronologico, della scaletta dei pezzi, ci fa rivivere fasti d'eternità anche a noi familiari.

E veniamo tirati dentro in una zona non preventivata, inaspettata, magnetica, ma presente nella sua invisibilità dovuta ai nostri occhi foderati di prosciutto a non cogliere l'immensità dell'assenza. Il cullarci in un'infanzia matura del gioco della noia del Paradiso è un incentivo per poter constatare la Fede conquistata, spogliata da fardelli monoteisti. Una luce caleidoscopica ci fornisce lo sballo di una lucidità in assenza di pensiero.

Talmente c'è diversità da un brano all'altro che assurdamente si assapora l'Unità dove l'antichità della libertà espressa può risultare disturbante nell'accettazione di un umorismo impersonale, ma dove il cinismo dell'onestà prodotta risplende la cancellazione di sovrastrutture effimere e ci fa partecipi di una pura compassione nel proporre viaggi nel nostro Dio interiore.

E così, rispetto al baccanale dei capolavori precedenti, questo disco si pone per la sua natura "trasparente" un po' in sordina e defilato nel suo messaggio aggregante, ma dove nella rinuncia cosciente ad una sacrosanta superbia (lampante è la foto interna dei quattro "cavalieri" che guardano un punto al di fuori da loro), ci suggerisce che i veri trionfi li troviamo sempre vicini alle rovine, possibilmente le nostre.

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