Per tanti fans del metal più oscuro partorito anni orsono dai Black Sabbath, i Candlemass rappresentano un approdo sicuro, un punto fermo, una band dalla quale puoi aspettarti sempre qualità, abnegazione, forza di volontà e soprattutto risultati. Eppure c'è stato un momento nella loro ultra ventennale carriera in cui sembravano essersi smarriti, quella caduta che ne ha messo in discussione la stessa esistenza.
Siamo nel 1989 e dopo quattro capolavori (c'è anche bisogno di citarli?), qualcosa si spacca all'interno del gruppo svedese. Il frontman Messiah Marcolin, dopo "Tales of creation" lascia la band. E' un periodo buio per Leif Edling e soci, perchè Marcolin aveva dato anima e corpo ad un sound cupo e massiccio. Le sue indiscutibili doti di vocalist, nonchè la sua importante presenza sui palchi di mezza Europa vengono improvvisamente meno. A ciò si deve aggiungere l'inevitabile calo di songwriting, evidentemente "appiattito" dopo i primi quattro eccellenti lavori dei Candlemass, quelli che rimangono il loro apice compositivo.
Questo periodo difficile, sia dal punto di vista artistico che interno alla band, è per certi aficionados iniziato nel 1992 con "Chapter VI", quinto studio album. In effetti rispetto a opere come "Epicus doomicus metallicus", "Nightfall" e "Ancient dreams" il risultato finale è di tutt'altro spessore: eppure "Chapter VI" è passato fin troppo sottotraccia. Perchè? Tanti hanno attribuito la "disfatta" a Thomas Vikstrom, il singer che ha sostituito Marcolin dietro il microfono. Rispetto al panciuto predecessore Vikstrom ha un timbro vocale molto più squillante, da alcuni definito "da power metal", quindi poco adatto al doom candlemassiano. Non ci sono dubbi sul fatto che Vikstrom non può competere con Marcolin, ma ascoltando con attenzione il cd si può comprendere come la prova del buon Thomas non sia da buttare, ma anzi si adatta perfettamente al nuovo "taglio" delle chitarre di Bjorkman e Johansson, più quadrate e più heavy e un pizzico meno doom.
Sul piano formale i Candlemass rimangono gli stessi, con il loro roboante doom/heavy di pesantezza assicurata, dove di spiragli sinfonici e atmosferici trovano ben poco spazio. Inoltre "Chapter VI" pur non avendo ricevuto un'ottima accoglienza è un lavoro più che dignitoso: basterebbe l'opener "The dying illusion" a fugare ogni dubbio, data l'indubbia qualità del brano. Seguono altri pezzi di ottimo doom come "Julie laughs no more" e la complessa ed oscura "Where the runes still speak" che poteva benissimo stare in un platter come "Ancient dreams".
E' innegabile che dalla dipartita di Marcolin, fino al suo ritorno nel 2005 (con il nuovo addio subito dopo) i Candlemass abbiano attraversato un periodo di mezzo della loro carriera sicuramente non all'altezza di ciò che sta prima e di ciò che verrà dopo, ma non per questo "Chapter VI" è da catalogare come un lavoro mal riuscito, anzi. Per chi scrive questo è senza ombra di dubbio il miglior lavoro del periodo che va dal 1992 all'uscita di "Candlemass" (2005). Un capitolo della loro discografia che va riscoperto e a cui va riconosciuto il suo valore.
1. "The Dying Illusion" (5:53)
2. "Julie Laughs No More" (4:22)
3. "Where The Runes Still Speak" (8:41)
4. "The Ebony Throne" (4:25)
5. "Temple Of The Dead" (7:10)
6. "Aftermath" (5:37)
7. "Black Eyes" (5:52)
8. "The End Of Pain" (4:24)
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