Quando mettiamo su un disco di Caparezza e digitiamo il tasto play sul nostro lettore siamo subito sicuri di una cosa: stiamo per ascoltare qualcosa di originale. Questo è poco ma sicuro: non ci tradisce mai il fidato capellone pugliese e non ci ha tradito nemmeno questa volta.

O meglio, non ci ha tradito nei testi dei brani (che sono la vera forza di questo artista), ma qualcosa nella musica, stavolta, non funziona. Certo, chi ama Caparezza sa bene il suo mix di rap, pop, rock e reggae a cui ci ha abituato nei dischi precedenti (uno su tutti: "Le dimensioni del mio caos", il suo capolavoro), ma l'originalità di un artista come il Capa non sta anche (e forse soprattutto) nel saper re-inventare le sette note?

Il primo singolo,"Goodbye Malinconia", aveva fatto sperare bene: "toh! Ma questa suona un casino come pop-dance anni 80! Siamo quasi nella new-romantic!" e già mi vedevo il Caparezza nelle discoteche sudate e affollate della prossima estate (non che questo sia un fattore necessariamente positivo, ma era qualcosa di nuovo per Lui) e invece ecco che il resto del nuovo disco suona abbastanza vecchio, stanco e spento, neanche molto originale dato che il disco usa lo stesso stratagemma del Concept-Album già utilizzato in "Le Dimensioni Del Mio Caos", in cui le canzoni sono legate fra loro da voci narranti. Peccato perchè i testi sono sferzanti, taglienti e azzeccati come sempre.

L'apertura è affidata al "Nessun dorma" lirico, usato come preludio per la prima critica sociale che troviamo in "Chi se ne frega della musica" in cui Caparezza si scaglia contro lo show-biz che ruota attorno alle case discografiche (ma se la prende anche con Facebook, peccato che anche lui ha una sua pagina proprio sul famoso social network, pazienza....) fino a un finale quasi delirante in cui elenca una serie di "arrivisti e mercenari della musica"

Ebbene si, è particolarmente arrabbiato il nostro capellone stavolta, lo dimostra in quasi tutto il disco d'altronde, dalla denuncia di un'Italia sbandata della hit "Goodbye Malinconia" alla noiosa "Non siete stato voi", dal finto quiz di "Cose che non capisco" al fastidioso, banale e scontato reggae di "Legalize the premier" (se il Capa non ci ficca in mezzo qualcosa che ricorda i vari Sud Sound System non è contento...). E poi come pugni diretti in faccia arrivano le vere chicche, quelle canzoni che capisci subito da chi sono state scritte (e adesso parlo non solo di testi ma anche di musica), quei brani che solo Caparezza può comporre e cantare: "La fine di Gaia", "La ghigliottina" e infine il capolavoro, il gioiello (e di sicuro una delle migliori canzoni del Capa) che arriva per ultimo, quasi come a scusarsi di alcune falle durante l'ascolto: "Ti sorrido mente affogo", un eccitante, sussultante e veloce rap ironico e perfetto nel suo stile e nelle sue parole. Una canzone che ci fa subito dimenticare l'imbarazzante e irritante "La marchetta di Popolino" e tutti i piccoli errori disseminati nel disco; un disco che purtroppo ricalca troppo lo stile "strofa iniziale- ritornello stupido e pop- strofa finale" che va bene per alcune canzoni fatte in passato, ma che adesso pensavamo fosse superato. 

Nel complesso "Il Sogno Eretico" risulta di sicuro il minore fra i dischi di Caparezza, ma allo stesso tempo ha trovate come sempre geniali e ben riuscite che annebbiano (se non adirittura azzerano) tutto ciò che non va.

Come già detto, se mettiamo un disco di Caparezza, siamo sicuri che, qualcunque cosa stiamo per ascoltare, è qualcosa che non ci deluderà. 

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