Estate 1992. Sto cazzeggiando con gli amici nel bar del paesello che ospita le mie vacanze da preadolescente, ancora lontano dall’ormone ma completamente dipendente dai bit da gioco arcade, quando lo noto. È in mezzo alla piccola sala giochi e un ragazzino bestemmiante sta violentando la manetta direzionale, incitato da altri ragazzini brufolosi che puzzano di fumo passivo. Leggo sul fianco del cabinone: Street Fighter II. Non potevo sapere che la mia vita da videoludico sarebbe cambiata per sempre. Nei giorni a venire ci siamo svenati e abbiamo fatto passare un paio di chili di monete attraverso quella feritoia rossa. A fine vacanza abbiamo capito che solo grazie al nostro contributo, il gestore del bar era riuscito a sostituire il suo vecchio Fiorino a metano, con una Croma nuova fiammante.

I karateka Ryu e Ken, il mostruoso brasiliano Blanka, la sexy e scatenata Chun Li, l’asheta indiano Dhalsim, il grosso Rikishi Honda che indossa una micro mawashi, oppure il gigantesco comunista russo Zangief, senza tatuaggi ma pieno zeppo di cicatrici, l’americano Guile, con la sua crestona bionda. Eravamo sempre indecisi su chi scegliere e avevamo bigliettini in tasca per ricordarci come fare le mosse speciali. Appunti sparsi qua e là, ricavati dall’esperienza o dalle pagine di Consolle Mania.“Hadoken”, il “Colpo dell’Ondata” era la mossa che conoscevano tutti ma che riuscivano a fare in pochi. Una mezzaluna e un colpo sul tasto del pugno. Sembrava facile ma ci voleva grande coordinazione. Statisticamente i personaggi più gettonati erano proprio Ryu e Ken, due gemelli diversi separati alla nascita (in realtà grandi amici d’infanzia), provenienti dalle coste lontane di un oceano comune.Praticano entrambi l’Ansatsuken (karate shotokan) uno in Giappone, l’altro negli States. Chi scegliere? Quello era un vero e proprio dilemma freudiano, che alla fine cedeva esclusivamente alla corrente modaiola e ci faceva propendere per il figlio del Sol Levante.

Marchiata Capcom, la saga di Street Fighter ad oggi rientra ancora tra le regine della categoria picchiaduro a scorrimento (Beat’Em Up). Nel 2008 ha ricevuto tre premi in altrettante categorie ed è stato inserito nel libro Guinness World Records Gamer's Edition di quell’anno.Questo secondo capitolo in 2D resta a mio avviso il più divertente e iconico. Oltre ad essere il titolo della casa giapponese più venduto di sempre, ha anche il merito di aver ispirato tanti altri videogiochi futuri. La schermata, con pochi ma essenziali sprites in movimento sullo sfondo, rendeva le location che ospitavano la sfida molto avvincenti, in rapporto con i pochi bits e con la qualità che la grafica dell’epoca poteva offrire.

La trama (ne esiste ovviamente una) ci dice che questo secondo capitolo è allocato a livello temporale nove anni dopo il primo e sette anni dopo la serie Alpha.

Il perfido generale Bison, a capo dalla Shadaloo (una spietata organizzazione criminale), ambisce a diventare ancora più potente e decide di organizzare un torneo mondiale di arti marziali, lo Street Fighter Tournament II. La sua intenzione è quella di individuare e sconfiggere il lottatore più forte al mondo e di impossessarsi della sua psiche, diventando così un essere invincibile.

I lottatori vengono selezionati da Bison tra quelli che più si sono distinti in precedenza in altri tornei (il riferimento è alla serie Alpha). Ogni partecipante è spinto da un motivo personale. Chi combatte per poter indagare sulla Shadaloo o per annientare Bison a titolo di vendetta per i suoi crimini. C’è anche chi lo fa solamente per la fama, la gloria e il denaro o per appropriarsi dei poteri del Generale. E c’è chi combatte per avere una rivincita con altri lottatori del torneo, come nel caso di Ryu contro il thailandese Sagat.

Ci si rendeva conto che la nostra dimestichezza con il gioco e il personaggio scelto stava crescendo, quando dopo aver sconfitto un paio di avversari ci potevamo cimentare nella demolizione di una Lexus LS400 grigia, a mero titolo di raccolta punti. Un conto poteva essere demolire la carrozzeria dell’ammiraglia nipponica a calci, attraverso degli anfibi grossi come un portaombrelli, diversamente il tutto diveniva surreale quando lo si faceva a mani nude tramite un mulinello di schiaffi. Ma il tutto era estremamente gratificante e l’impossibilità di portare a termine la demolizione non inficiava sul proseguo del nostro cammino verso la vittoria del torneo.

La primissima versione del gioco ci consentiva di scegliere solamente gli otto personaggi canonici. Capcom non ha mai prodotto un terzo capitolo ma ha sviluppato diverse versioni del secondo (sette per la precisione, compresa quella celebrativa per il quindicesimo anno). Dal secondo capitolo, “Champion Edition”, è stato possibile scegliere anche i personaggi antagonisti che erano in precedenza “bloccati” (Vega, Sagat, Balrog e M.Bison, facenti parte della Shadaloo), fare una sfida a due selezionando lo stesso personaggio,nonché abbinare ad ogni scelta varianti di colore per gli abiti o le divise. Successivamente e con la versione “The New Challengers” del 1993, sono stati aggiunti ulteriori protagonisti (Cammy, Fei Long, Thunder Hawk e Dee Jay) e variate alcune mosse. C’è da dire che ogni versione ha ricevuto migliorie o modifiche a livello di giocabilità e velocità, anche e soprattutto per accrescere l’appeal.

Sono stati realizzati due film nel 1994. Uno animato, “Street Fighter II: The Animated Movie” e un live-action “Street Fighter – Sfida Finale” con Jeanne Claude Van Damme nel panni di Guile e Kylie Minogue in quelli della marine Cammy. Quest’ultima alle dipendenze dello spietato M.Bison, interpretato dal mai dimenticato Raúl Júliá (che fu anche il miglior Gomez Addams di sempre). Un anno dopo è stata la volta di un anime da 29 puntate, "Street Fighter II V" trasmesso anche in Italia. Sempre nel nostro paese è uscita una serie a fumetti edita da Italycomics, ad oggi difficile da reperire.

Direi che dai tempi delle sale giochi, questo videogame ne ha fatta di strada e ne visti di pugni e calci.

Dopo il 1991, anno di uscita del titolo arcade, Street Fighter II si è diffuso a macchia d’olio anche nelle nostre case attraverso i personal computer e soprattutto in occasione della commercializzazione di consolle a 16 e 64 bit (Sega, Nintendo). Un Sega Mega Drive o un Nintendo 64 potevano arrivare in occasione del Natale, del compleanno o addirittura come premio per una buona pagella. Un Neo Geo (era il nostro mito, irraggiungibile per quasi tutti) ce lo potevamo solo sognare. Le cartucce (le chiamavamo così all’epoca) erano fatte apposta per disintegrare le nostre paghette mensili. E allora partivano i prestiti, i baratti con gli amici, quando i liquidi non erano già quasi più disponibili e c’era in previsione un sabato sera festaiolo. Ricordo che i giochi più interessanti e costosi erano prerogativa degli amici con genitori divorziati. Il senso di colpa dei loro vecchi faceva miracoli. Per quanto mi riguarda, i miei genitori erano molto affiatati anche allora, la paghetta molto bassa e i giochi nel cassetto sempre gli stessi, a tal punto da non essere più barattabili.

Piano piano la passione per i videogiochi si è tramutata in passione (anzi ossessione) per le donne. E se i soldi erano già pochi, ça va sans dire...

Sono passate trenta estati, gli interessi sono cambiati, i videogiochi anche ma quegli otto picchiatori e il loro torneo rimangono ancora ad oggi nel cuore di noi appassionati del genere. Indossiamo magliette, teniamo sulla scrivania gadget e anche se sembra assurdo, però, non giochiamo più a Street Figher II.

Manca il tempo, manca la consolle con il videogioco dentro ma non manca mai la voglia. Ma non disperiamo, avremo modo di far conoscere Ryu e compagnia bella ai nostri figli. Ammesso che non ci chiedano poi un aumento di paghetta.

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