Quando si ascolta un disco hardcore un bruttissimo segno, come le Fiere per Dante, è quello di iniziare a guardar il proprio orologio e dire: "vabbè, ma siamo ancora alla quinta traccia? Stiam scherzando?". In una scena musicale che si nutre di frenesia e istanti voraci non è proprio il migliore dei complimenti che si possa fare a un'uscita discografica. Non è il caso di questo "The Angst In My Veins" dei californiani (e dove se no?) Capsize. E allora, caro ZeroKanada, come mai iniziare una recensione in questo modo? Perché per una volta non scriverò di un qualcosa che mi abbia fulminato al primo colpo o di dischi che reputo essenziali nella mia personalissima e opinionabilissima visione musicale. Questi Capsize non mi sono nuovissimi all'udito a dire il vero. Loro li ho incrociati più volte lungo il mio tragitto casuale fatto di interminabili chiacchierate da autobus. Ne ho sentito parlare distrattamente. Insomma sì, avete capito, mi riferisco a quel brusio di sottofondo che s'ascolta distrattamente ai concerti. O ancora, per intenderci, devo ringraziare il lavoro pubblicitario e di indicizzazione di Facebook che funziona a meraviglia, suggerendomi con puntualità di mettere mi piace alla loro pagina ufficiale. Soprattutto, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è che vivendo da mesi in California son riuscito a crearmi un piccolo circolo di amicizie da concerto pure qua e, come vi ho scritto qualche riga sopra, loro sono californiani, quindi l'hype quando dichiari a tutto il mondo che ascolti anche hardcore melodico fa sì che il nome Capsize salti fuori con nonchalance. "Beh, ma devi ascoltarli, suvvia, ti piacciono i Modern Life Is War, cioè, loro son un po' più nuovi (ahia - nota personale)". Evabbè, che vuoi farci, allora diamogli una possibilità.

Il primo impatto che ho è che questi ragazzi di San Diego abbiano fatto i compiti. Non solo hanno studiato per benino quella scuola hardcore melodica oramai storica di Have Heart, Killing The Dream o Carpathian, ma abbiano pure preso nota di formazioni più recenti come i Defeater. I Capsize caparbiemente poi sono riusciti a crearsi una solida immagine e reputazione nel giro underground locale. Gli va dato atto di questo, senza ombra di dubbio, soprattutto sotto l'aspetto visivo. Insomma, guardi l'artwork di questo debut e subito non puoi che pensare: "beh, ma questi saranno i soliti presi male sulla vita, sulle relazioni, sull'esistenza" con quel tocco romantico/naive che fa breccia soprattutto sui più giovani. Tutto è apparecchiato. I Capsize, continuando a studiarmeli sotto questo profilo, sembrano non sbagliare nemmeno una cartuccia. Si trovano anche su un'ottima etichetta discografica per esser sulla cresta dell'onda, la Equal Vision, che di capolavori in passato ne ha tirati fuori. Leggere: "Jane Doe". Il castello dei californiani sembra proprio avere solide fondamenta e allora, mi dico io, son stato ingenuo ad ignorare continuamente l'ascolto, perché con un background simile non si può fallire. Mi lancio, dunque, all'ascolto di "The Angst In My Veins" e dopo la mezz'oretta di sfuriate che i Capsize propongono mi ritrovo con lo sguardo perplesso con cui Giovanni Drogo scrutava al di là dell'orizzonte della Fortezza Bastiani. Non so benissimo che sensazione sia, ma è che a furia di rovesciare (sì, dovevo fare il pun sul monicker del gruppo) e frullare le carte in tavola i nostri non sanno dove andare a parare di preciso. O meglio, le coordinate stilistiche i Capsize le conoscono benissimo, ma talvolta sono indistintamente aggressive e/o passionali. In parole povere più di una volta le soluzioni musicali sconfinano in lidi derivativi facendo così che il platter perda di mordente.

Io me li immagino lì in sala di scrittura, per carità. Indecisi se premere l'acceleratore sull'introspezione, piuttosto che risultare spigolosamente disperati. La proposta dei Capsize è soggetta a bivi che sembrano interminabili. Andare a toccare strutture metallizzate più vicine a nomi come Counterparts oppure non abbandonare radici più caoticamente punk della nuova scuola, cosa suggerita pure dalle comparse dell'ex Defeater Jay Maas e del cantante degli svedesi No Omega. E così via. Sapete quel detto del tenere un piede in due scarpe? Ecco, è la metafora dei Capsize. Alla fine dei dieci pezzi l'opinione che mi son creato è che manco loro abbiano trovato una vera risposta a queste biforcazioni e, in questo, si nota che si è di fronte a un debut su vasta scala. Non fraintendetemi però. Per natura non sono un pessimista cosmico come Leopardi e vedo pure risvolti più brillanti. C'è infatti da dire che "The Angst In My Veins" scorre via liscio come l'aceto balsamico Ponti e ha i suoi momenti più che godibili, fra ritmiche spezzate sapientemente da breakdown e, senza cadere in una ripetitività eccessiva, scorci malinconici. Di materiale per esser trascinanti ce ne è a sufficienza. Exploit tipo "Numb" mi piacciono pure parecchio, manca solo la consistenza e una chiave di volta che renda i Capsize meno lineari e più personali. L'unica parola...ah, a proposito di parole, liricamente i californiani non sono neanche malvagi, tuttaltro. Comunque, dicevamo, l'unica parola che i nostri devono scacciare è cliché. Nella fattispecie mi giungono notizie che nel 2016 probabilmente uscirà il nuovo full length, ecco, qua la curiosità vincerà su di me, perché nonostante tutto son da tenere d'occhio e, potrebbero, regalare soddisfazioni. Nel frattempo però devo scrivere un messaggio alla mia amica e dirle: "Bravi, carini e tutto sti Capsize, eh, per carità, però per ora rimetto su Witness".

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