Che tempi dovevano essere quelli! Tempi del vinile e delle musicassette, e anche dei 45 giri. Tempi in cui tutto era più lento e più riflessivo e dove un disco durava anche una stagione. Paradossalmente però, per un gruppo, licenziare un long playing all’anno era routine e l’attesa si faceva spasmodica per quei pochi che all’epoca avevano la possibilità, il tempo e i mezzi per seguire il mercato discografico nonché il portafoglio per potersi permettere sia un giradischi, sia l’acquisto di un trentatre giri.
Oggi un disco è già vecchio prima di uscire. La produzione dei singoli artisti si è però di molto diradata a compensare, seppur parzialmente, la messe di nuovi dischi che settimanalmente (e molti inutilmente) ci invade per ogni dove.
I Caravan con questo lavoro del 1970 erano appena alla seconda uscita discografica e già mostravano una piena maturità e consapevolezza dei loro mezzi. Validi esponenti del cosiddetto “Canterbury sound”, peraltro dell’ala meno oltranzista, in realtà propongono né più né meno una sorta di progressive sensibilmente virato in chiave melodica.
Le tipicità del genere ci sono tutte: titoli dei brani sezionati in vari movimenti, dilatazione oltremisura di ogni singola canzone, uso a cascata di tastiere e melodie che fanno fatica a insinuarsi sotto pelle ma che piano piano entrano dentro e non ti lasciano più.
Controverso e dibattuto da anni il rock-progressivo a fronte di folte schiere di detrattori, ha anche molti estimatori. Un disco di questa portata può però mettere d’accordo tutti, giacché l’epoca d’incisione proponeva un territorio ancora vergine e le esagerazioni, le estenuanti suite e la vena onanistica mera del genere erano ben lungi dall’arrivare e il senso della misura non era ancora un optional.
Indubbiamente è un disco figlio della propria era. L’approccio all’ascolto dev’essere forzatamente e sensatamente rivolto al passato e diciamolo onestamente che questa musica non è invecchiata bene: oggi sarebbe improponibile presentarsi con un disco di simil fattura. Ciò non toglie che abbia un suo fascino.
Non sono quasi mai citati, i Caravan, come alfieri del rock-progressivo essendo altri i nomi in vista e che specialmente in Italia nella prima metà degli anni settanta hanno fatto infiniti proseliti, ma almeno per un breve periodo si sono dimostrati degni di stare al loro fianco.
Non avendoli vissuti in presa diretta, non posso dire di avere nostalgia di quei tempi ma qualcosa mi dice che, almeno musicalmente, mi ci sarei trovato a mio agio. Che tempi dovevano essere quelli!

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