Punk e Progressive sono probabilmente i due generi più agli antipodi in ambito rock: nessun gruppo punkettone si azzarderebbe mai di aggiungere ai propri tre accordi distorti dritti e furiosi la meticolosità di uno stacco dispari, un fraseggio assurdo suonato all'unisono, o la riproposizione di un tema con stili sempre diversi; allo stesso modo nessun musicista progressivarolo - costretto a pagare le proprie lezioni di chitarra e quindi ansioso di mostrare al mondo la propria inattaccabile tecnica - si sognerebbe mai di sporcare le proprie composizioni tirando allo spasimo la velocità e il volume dei pezzi, distorcendo e infuriando il tutto, dalle chitarre alle voci, dagli obbligati ai sette ottavi terzinati...
Bene, il genio assoluto dei Cardiacs si estrinseca proprio in questo: Tim Smith - classe 1961 - cantante-chitarrista e principale autore della band sin dal 1977, è una di quelle teste pensanti che tengono alto il concetto zappiano di "absolutely free". Cresciuto amando allo stesso modo sia i Gentle Giant, i Gong, i Van Der Graaf Generator di Peter Hammill che il nascente movimento punk e poi wave, Tim e i suoi Cardiacs hanno saputo coniugare i due stili, sin dall'esordio del 1988 "A man and a house and the whole world window", contenente il loro singolo più famoso "Is this the life?".
"Sing to God", del 1996, è il loro quinto album in studio, ed è probabilmente l'opera massima dei Cardiacs, un cd doppio che raccoglie il meglio del song-writing di Tim, aiutato in qualche brano dal chitarrista Jon Poole. Il bello è che Tim si ostina a definirli semplicemente "tunes", melodie, motivetti orecchiabili da canticchiare come perfette pop-songs, nonostante gli infiniti cambi d'accordi, come in "Dirty boy", ballata chitarristica che nei suoi otto minuti cresce epicamente fino a raggiungere un climax di sole voci che è semplicemente da brividi. In "Dog-like Sparky" i nostri invece si divertono a spostarci continuamente il battere in avanti e indietro nelle strofe, prima di entrare in un ritornello che definire sdrucciolevole è tanto poco canonico quanto vero, quattro ritornellli diversi uno dopo l'altro, così, senza pause. "Angleworm angel" è un pezzo punk quasi hard-core che nonostante i tagli di battute e i salti d'ottava spinge e porterebbe a pogare anche il più motivato monaco tibetano. L'assolo cut-and-paste di "Fiery-Gun hand" è un altro colpo di genio, frammenti di soli suonati ovunque sulla chitarra mixati insieme a formare un'unica struttura virtualmente insuonabile, prima di cadere in una sequenza di stop and go di vera scuola zappiana circa 1974, ma col distorsore a palla, e con mille note che scappano in tutte le direzioni, dritte, poi storte, poi dispari, poi di nuovo ri-armonizzate... Il tutto senza la pretesa di mostrare alcuna tecnica, dietro c'è sì il desiderio di sorprendere l'ascoltatore, ma anche l'idea di spingere avanti il più possibile il limite dell'assurdo. Mi fermo qui, nonostante anche i Queen pazzi e sotto acido del ritornello di "Insect hooves on Lassie" e il riff killer di "Nurses whispering verses" siano altri due high-light di un disco imponente.
Dopo averli visti dal vivo nel 2007 a Londra posso anche aggiungere che questi pezzi vengono suonati con una facilità disarmante, e che alla fine arrivano al pubblico come se stessero suonando i Polysics moltiplicati per mille, o i System of a down, però inglesi e mezzi ubriachi. Alla fine, come capita ogni volta che si tenta di far conoscere un gruppo di culto e quindi pressoché sconosciuto, non so se essere contento o meno - ma in realtà in fondo me lo auguro - se questa recensione porterà qualche fan in più alla band più inventiva e libera di tutti i tempi.
E ho detto tutto.
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