Tuffo. Boom. Un turbinio di gocce taglienti si infrangono sui timpani. Le senti. Le sensazione è analoga a quella che sta provando il tuo ventre dopo l'incredibile panciata. Bassi, bassi potenti e distorti che si fatica a descrivere. Forse si possono solo definire "liquidi". Flash di luce provengono dal fondo della piscina. Riemergi. Scoppiettii, batteri che probabilmente giocano a fare le bolle da dentro la tua testa. Ci mette un po' a ritornare tutto simile a come era prima che ti tuffassi. Ci metti un po' a sentire, pur sempre ovattate e distorte, le voci delle smorfiosette che si scostano a vicenda le mutandine per scherzo. E il sottofondo musicale - forse un singolone dance commerciale - proveniente dalla vicina palestra. Bracciata. Tutto si confonde di nuovo. Il canale sinistro ritorna sotto. Non scompare, si trasforma, si incupisce. I vari suoni si confondono in un'oscillazione frastagliata a bassa frequenza. Bracciata. L'orecchio torna fuori dall'acqua e il ciclo si ripete.

Questa, più o meno, l'idea sonora di partenza del nostro Dan Snaith, in arte "Caribou". Di origini canadesi, si trasferì a Londra per conseguire il suo dottorato di ricerca (PhD) in matematica. Ma Londra non poteva non influire sulla musica di Dan e, in particolare, su quella contenuta in quest'ultimo disco.

A parte l'incipit, e cioè l'idea di dare una certa "liquidità" ai suoni, idea maturata - dice lui in un'intervista rilasciata a Joe Colly di Pitchfork (April 26, 2010) - durante un corso di nuoto, la genesi di questo disco non è molto differente da quella di altre proposte uscite in questi primi mesi del 2010. L'intensa attività di DJing in giro per i club e le varie influenze dal mondo dance (il solito James Holden che gira) hanno portato Caribou - sebbene riluttante all'inizio - a mixare il suo """sound classico""" con un sound più dance. Se a qualcuno ora venisse in mente Four Tet (Kieran Hebden), è in buona compagnia e, forse, non sbaglia di tanto, visto che Dan e Kieran sono "compagni di merende".

Tutti si aspettavano un'evoluzione di quel kraut-psych tribale del precedente "Andorra", ma con "Swim", Caribou, senza rinnegare nulla delle opere precedenti, ci svia di nuovo, ci impedisce di capirlo, di inquadrarlo, di limitare lui e la sua musica all'interno di una forma solida definita. Perché odia le definizioni da rivista musicale, odia i ragionamenti sulle radici musicali, sulle influenze, sicuramente odierebbe questa recensione e, quindi... ci frega con i liquidi.

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