"He said son it's just a feeling, way down in your soul..."
E' tutto inutile. Noi stiamo qui a domandarci che senso abbia, giorni e settimane a chiedersi cosa sia questa strana parola che così viene chiamata. E poi arrivano quattro nonnetti a dirti che in fondo è tutta una grande stronzata, che sarà anche un luogo comune ma è così, "o ce l'hai o non ce l'hai".
Nell'86 era già stato fatto tutto. Il punk era arrivato e aveva incenerito tutto, portando il tempo indietro di un paio di lustri. Quello che era seguito poi, aveva fatto non poche vittime tra i giovani, musicisti e non. Così era facile tornare con la mente ai tempi del "Million Dollar Quartet", e ai tempi in cui forse tutto era più facile, perché eri tu il primo a farlo, cazzo. Jerry Lee che si faceva le ragazzine, Carl che si era fatto fregare il pezzo che l'avrebbe mandato in orbita, Johnny che si vestiva sempre di nero e si portava la roba nella custodia della chitarra. E poi c'era lui, cristo. Il più grande di tutti, perché nessuno era mai stato come lui. Troppo bello per essere solo un attore, troppo bravo per essere solo un cantante. E troppo fragile, ma questo si capirà solo più tardi, quando non c'era più niente da fare. Al tempo si era invincibili, baciati dal successo, persino irreali. Forever young.
In questo disco Roy Orbison rimpiazza lo scomparso Elvis, e non è detto che sia un male. E come inevitabile che sia, questo è un disco di ricordi e di celebrazioni. Quattro nonnetti che avrebbero dato la paga a tanti giovanotti si ritrovano, e cantano per chi ha voglia di ascoltarli. Quello che salta all'orecchio da subito è la scintillante produzione di Chips Moman, che riesce nell'invidiabile compito di attualizzare un suono vecchio di trent'anni. Poi, il resto è lasciato alla classe dei quattro, spostati ragazzino che continuo pure io. Lewis svisa come suo solito su Sixteen Candles, Perkins si autoelegge leader e tiene insieme la baracca cantando il pezzo che intitola l'album con un piglio da marinaio disilluso. Cash è uscito dai Settanta e dimostra di essere il più in forma di tutti, pronto alle prove con gli Highwayman e ai successi futuri: basta sentirlo in I Will Rock and Roll With You per chiarirsi le idee. Ma soprattutto c'è Roy Orbison, con una voce che sembra quella di un angelo bambino capitato lì per caso. Fa la sua comparsa timido solo dopo due canzoni, e nella meravigliosa Coming Home mette il sigillo per il pezzo più bello del disco. Una delle ultime, meravigliose prove prima della malinconica dipartita.
Nient'altro da dire. Se il rock and roll nell'86 tornava a casa, meglio di questi quattro ad accoglierlo non poteva esserci.
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