Non pensavo minimamente un giorno di poter dire che il mio film preferito sarebbe stato realizzato sul finire degli anni 20. 

Sin da piccolo ho sempre mal digerito il bianco e nero, complice anche la mia vecchia e piccola tv che di colorato aveva soltanto la plastica gialla in cui era ricoperto.

Così come sono stato abituato a pensare alle opere senza sonoro ed, in generale, a quelle di quel periodo, come a dei films anacronistici di alcun interesse con delle interpretazioni goffe e distanti anni luce dalla grandezza e dall'impatto devastante dato dagli effetti speciali della cinematografia americana con i suoi colossal alla "Gladiatore" o, meglio ancora, alla "Passion of Christ" secondo Mel Gibson.

Proprio la visione di quest'ultimo mi aveva fatto credere che mai era stata riprodotta su celluloide la sofferenza di un essere umano in maniera così cruda e reale.

Mi sbagliavo profondamente.

"La Passione di Giovanna D'Arco", diretto dal maestro Carl Theodor Dreyer, è né più né meno un capolavoro, nonché il film più bello che abbia mai visto nella mia umile esistenza.

Si narra che la pellicola originale fu inizialmente distrutta dal fuoco, per poi essere rimontata con i suoi tagli, sino a quando ne fu ritrovata una copia dell'originale in un manicomio norvegese agli inizi degli anni '80.

Ben si può comprendere che un'opera che giunge a noi in questo modo non può che essere dotata di un fascino e di una forza sovrannaturale

Pensate, che so, a quante traversie ha dovuto attraversare nella sua storia centenaria il "Cenacolo".

La consapevolezza che un'opera d'arte ha dovuto sopportare una sua "passione" per essere ancora oggi ammirata da tutti noi, non può che accrescerne il valore e renderla immortale.

Dreyer ci mostra in tutta la sua drammaticità, il dolore fisico, psichico e spirituale, e lo fa attraverso una serie di sequenze in primo piano che imprimono nella memoria dello spettatore l'interpretazione femminile più grande di sempre, ossia quella di Renée Falconetti.

La Pulzella d'Orleans viene derisa, umiliata, torturata.

Alcune scene sono così sconvolgenti da far impallidire il copioso spargimento di sangue del Cristo gibsoniano.

Uno degli aspetti che più colpisce del film è l'incredibile forza espressiva dei volti degli attori.

Si pensi a quello di Giovanna, segnato dall'alternanza tra la fase estatica che le dà il coraggio di continuare ad avere fede nel Signore e quella in cui, per così dire, si umanizza, quasi cedendo ai meschini tentativi messi in atto dagli aguzzini ecclesiastici per farla abiurare e, quindi, ottenere salva la vita.

Così come la corruzione e la perfidia della "Chiesa misericordiosa" viene raffigurata attraverso i volti risentiti, adirati e beffardi dei suoi componenti.

Ma la verità non potrà essere nascosta agli occhi del popolo che saprà riconoscere, in seguito alla sua tragica fine, la santità della loro connazionale più illustre.

Non si può rimanere impassibili alla visione dell'opus del regista danese.

Sono, perciò, convinto che il film farà aprire il cuore e, quindi, emozionare, anche i più scettici, così come non si può non emozionarsi davanti alla maestosità del Cenacolo.

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