In modo piacevolmente informale Rovelli cerca di metterci a parte della sua teoria sui buchi bianchi, corpi celesti per ora puramente teorici dal funzionamento molto complicato. Più che i buchi bianchi, sui quali probabilmente a fine lettura un po' tutti avranno dei dubbi (a maggior ragione chi come me di fisica non sa nulla), a colpire e a rimanere impresse sono le sue virate sulla storia della scienza e perché no, anche sulla filosofia della scienza. Dopotutto come ben spiega nel libro cercare di trovare il funzionamento di qualcosa che per definizione non è né misurabile né avvistabile la maggiore difficoltà è riuscire a capire cosa di quello che pensiamo di sapere della realtà è da mettere in discussione.
Il libro, tutto inframezzato di citazioni dantesche, sembra prima di tutto voler fissare le riflessioni dell'autore riguardo ai concetti di tempo e di realtà, e nella terza parte, la più bella del libro, partendo dal paradosso della perdita di informazione della materia dentro la stella caduta, che per Rovelli si risolverebbe appunto postulando il buco bianco, la riflessione si sposta sulla percezione del tempo in una realtà che nella quarta dimensione si muove solo in un senso, più che in avanti, in discesa, come spiega il bellissimo esempio finale delle due vasche. La fisica quantistica ci costringe a ammettere che il tempo potrebbe non avere una direzione propria, ma è la disposizione non equilibrata della materia nel passato che determina il mutamento, e quindi l'esistenza stessa del futuro stato della materia (alfine identico al primo passo?): l'esistenza del mutamento crea il presente? Ricordiamo il passato e non conosciamo il futuro solo perché nel passato c'era più disordine, e quindi tracce e indizi dello stesso? Ed è unicamente questo il motivo per cui l'effetto segue la causa?
A malincuore lascio le risposte a chi è in grado di trovarle. Nel libro emerge sopra tutto la figura di scienziato umanista, dedito non solo al pensiero scientifico, ma devoto anche al caro vecchio scassato pensiero analogico, noto da sempre agli orientali, coltivato in occidente in principio dagli artisti. Per spingerci oltre ciò che sappiamo dobbiamo abbandonare una quantità sconosciuta di regole e "certezze", per provare a ragionare modularmente, immaginificamente. Provare ad abbandonare le nozioni di causa e di effetto, per scoprire relazioni recondite in ciò che ci circonda.
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