Tra i capostipiti del Death metal seppelliti dal tempo e dalle disgrazie, impossibile non citare gli svedesi Carnage, da non confondere con gli omonimi provenienti dalla Gran Bretagna; benchè in pochi se ne ricordino, li si può tranquillamente annoverare tra i grandi del genere ed in particolar modo tra quelli che proponevano un Death primordiale e in gran parte ancora legato al morente Thrash metal.

Già perché mentre il Thrash periva sotto i colpi del fenomeno Grunge, che attirava ragazzini come mosche sul miele, il popolo metal, quello vero, si rifugiava in una rocca inespugnabile, si rifugiava in un Thrash più violento, più potente, più cupo e sul quale nessuno riusciva a mettere le mani; costruito su fondamenta illustri quali Slayer, Possessed e Sepultura, nasceva il Death metal. Questo neonato genere del metal, però, si divise subito in molti sottogeneri; Grindcore (primi Napalm Death, Impetigo, Repulsion, primi Carcass, Assuck), Brutal Death (Cannibal Corpse, Suffocation, Immolation e chi più ne ha più ne metta), Doom Death (in parte i Benediction, Incantation, Accidental Suicide) e Death, propriamente detto quello che aveva originato tutti gli altri, il "Death Metal Vero" se così lo vogliamo chiamare. In quest'ultima categoria, oltre band del calibro dei Death (i primi), Obituary, Entombed, Dismember, Cancer, possiamo inserire appunto i Carnage. Questo serva per inquadrare subito il tipo di sound dei nostri e serva soprattutto ad indirizzare ben i nostalgici dei primi anni novanta; non a caso, nella mia convinzione di recuperare le pecorelle smarrite, questa recensione la vorrei dedicare al troppo scettico (e oramai degradato a semplice "ammacca lamiere") sfascia carrozze. Con questa recensione voglio iniziare un ciclo volto alla riscoperta dei gruppi culto cancellati dalla memoria dei metallari traditori.

Come dicevo, i Carnage si collocano in quel filone di Death senza molte pretese, votato alla pura aggressività e, lo ripeto, figlio d'arte (in parte come "filosofia", molto come sonorità) del Thrash più cazzuto: nonostante ciò, questo "Dark Recollections" venne pubblicato nel 1990, una delle grandi annate per il Death Metal (che aveva avuto il boom tra il 1988 e il 1991 se si escludono alcuni ritorni di fiamma attorno al 1995). E questo è un dato essenziale perché dopo il 1990 avevano iniziato a farsi strada i gruppi Brutal Death mettendo abbastanza in secondo piano gli altri e, si può dire, togliendogli molto peso nello scenario metal. I Carnage ci credono ancora ed ecco che nasce questo cd; dieci tracce spietate, acri e bastarde.

Il riffing non è complicatissimo, i membri della band non hanno capacità tecniche eccezionali, ma credetemi, con la loro distorsione alla Entombed creano un muro di suono veramente duro: qualcosa che i colleghi del Brutal Death non capiranno mai, il piacere del bombardamento a tappeto e di quella cattiveria stradaiola sconosciuta alla maggior parte di loro. Non sentirete spettacolari passaggi di batteria, ma normali quattro quarti, normali rullate di doppia cassa e pochissimi controtempi. I quattro non sono affatto scarsi sotto il profilo strumentale, ma rispetto ad altri musicisti del metal estremo sono nettamente inferiori; e quello che intendo dire è che non per questo risultano meno apprezzabili. A completare il viaggio nel glorioso passato del Metal, alcuni assoli di discreta fattura ma di certo non complicatissimi; e su tutto un growl ancora parecchio pulito che non ha intenzione di essere il più basso e potente possibile. Non mancano quelle "melodie" lugubri tipiche degli Obituary anche se le influenze maggiori sono certamente quelle dei connazionali Entombed. Il bassista, come spesso capita, si sente pochissimo e d'altra parte sono tanto ribassate le chitarre che non se ne sente questa grande necessità. La produzione, sporca quanto basta ma non filtrata, completa il ritratto di "Dark Recollections"; un disco per aficionados, per fan degli anni ottanta e soprattutto di come si faceva il metal in quegli anni.

Se vi eravate innamorati degli Obituary, se vi mancano gli Entombed, se per voi "Leprosy" è già troppo progressista, se "Necroticism: Descanting The Insalobrous" è il limite oltre il quale il Death non si sarebbe dovuto spingere, questo disco fa per voi. E anche se, come il sottoscritto, amate le cose più moderne e tecniche, procuratevi questo cd perché è una vera pietra miliare.

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