Essere originali e personali in un ambito tanto conservatore e ripetitivo come il brutal death (o deathcore, visto che ormai non c'è più nessun genere senza il suffisso -core) non è certamente cosa facile. Esclusi rari casi, il rischio di copiare i pilastri del genere è elevatissimo, sia dal punto di vista musicale che da quello lirico, ed è per questo che la scena estrema moderna presenta una miriade di gruppi uno fotocopia dell'altro che non aggiungono nulla di nuovo e che non fanno altro che saturare il mercato discografico con uscite povere di mordente che durano 2-3 ascolti e finiscono direttamente nel cestino.
Purtroppo i californiani Carnifex non sfuggono a questo trend negativo. Attivi dal 2005 ed additati subito come una delle band di punta del deathcore (ovvero un mix di brutal death e stacchi mosh cadenzati), i nostri esordiscono nel 2007 con questo "Dead In My Arms", preceduto solo da un paio di demo. Un disco che, come avrete già capito dall'incipit della recensione, è assolutamente trascurabile.
Il gruppo si muove su un binario già collaudato da gruppi come Job For A Cowboy, Despised Icon, Dying Fetus e Skinless: chitarre ribassate, distorte e pesanti come macigni, drumming serrato tra sfuriate blast-beat, accelerazioni thrash, doppia cassa a volontà ed i consueti rallentamenti mosh (che, manco a dirlo, sono indistinguibili tra loro), voce in growl alternata allo scream assolutamente standard e priva di personalità.
Non servono molti ascolti per rendersi conto che il difetto principale del disco è la ripetitività dei brani: le strutture sono sempre le stesse, prevedibili e alla lunga scontate e noiose, riff di chitarra tutti uguali quasi come se avessero fatto il copia e incolla per tutte le 10 tracce. Se non fosse per la presenza dei titoli sul retro dell'album, sarebbe impossibile distinguere un pezzo dall'altro, e la sensazione sarà quella di ascoltare la stessa canzone una decina di volte.
L'unica traccia degna di nota, alla fine, resta l'opener "Slit Wrist Savior", l'unica che presenti passaggi abbastanza accattivanti e che si lasci riascoltare con piacere. Il resto dell'album si muove sulla falsa riga, ma con molta meno creatività e feeling.
Non so davvero a chi poter consigliare questo disco in tutta sincerità, ed anzi non riesco a spiegarmi come le generazioni moderne di metallari osannino gente come, appunto, i Carnifex e trascurino realtà molto più interessanti e di sicuro più personali. Secondo il modesto parere di chi scrive, il deathcore è un genere destinato a morire in fretta, un trend momentaneo che ha prodotto solo un mare di dischi banali, scontati e, in una sola parola, brutti (tranne alcune eccezioni, naturalmente) e che scomparirà con la stessa velocità con cui è nato.
Detta in breve, se non siete dipendenti dai vari Job for a Cowboy, Despised Icon, Animosity e gli altri 3000 nomi che sicuramente non mi ricordo al momento, passate altrove, sprechereste solo una mezz'ora inutilmente.
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