Nonsense, humor oscuro, un mondo di favolette un po' macabre ma spassose, contornate da bambolette scabrose ma che a modo loro sanno essere carine, così me lo immagino il mondo che ruota attorno a questo pazzo duo francese, mi sto riferendo ai Carnival In Coal.

Nati ad Amiens nel 1995, questi due brutti omacci riescono già dal primo "Vivalavida" datato 1999 ad uscire fuori dal coro e a prendere le distanze dal classico mondo del metal, preferendo una strada molto più personale, rischiando alle volte di sembrare magari eccessivi nelle loro scelte, ma restando sempre fedeli al loro modo, un po' pazzo ed inconsueto, di vivere la propria musica. Dopo un album non proprio splendido come "French Cancan", è con l'avvento del 2001 che i CIC compiono il grande salto, dando alle stampe "Fear Not Carnival In Coal", un prodotto maturo, ricercato ed eccessivo come pochi, dal quale traspaiono un forte senso di strafottenza e di menefreghismo nei confronti dell'ascoltatore, che fa dell'ostentata eleganza e raffinatezza compositiva la sua arma di forza.

Composto da nove pezzi di durata mai eccessiva, "Fear Not" già dalle prime note tende a sottolineare quella voglia di proporre qualche cosa di strambo già dal primo brano "Yes! We Have No Bananas", non tanto per la base musicale un misto tra death metal progressivo e qualche cos'altro di indefinito tra progressive e una sorta di new age più violenta, ma a stupire è il testo nel quale fanno la loro comparsa in questo preciso ordine: i Pokemon, la salsa, la rumba e queste benedette banane che i nostri non hanno! L'impatto a fine canzone lascia sconcertati, perchè se dal lato prettamente musicale ci troviamo davanti a qualche cosa di raffinato ed estremamente elaborato, da quello lirico ci si trova davanti ad uno scritto che lascia l'impressione di essere o davanti a due scherzosi burloni o di fronte a due tipi totalmente fusi di cervello.

Dopo esseresi ripresi dallo shock si può dunque premere il tasto avanti e passare alla seconda canzone dal titolo "Cadillac", ancora una volta estremamente elaborata e spiazzante: musicalmente siamo davanti ad un mix decisamente ben riuscito di progressive death e black metal al quale fa da cornice un testo splendido, spassosissimo che parla di un povero sfigato che mentre cerca di realizzarsi dal punto di vista personale, trova sempre qualcuno che lo butta giù, ma è a questo punto che lui si rifà con la sua nuova Cadillac color argento. Ancora una volta si resta un po' spaesati leggendo la lirica, ma se avete ancora la voglia e la forza di andare avanti, vi aspetteranno le migliori tracce.

La seguente è una cover dei Supuration dal titolo "1308.JP.08" e si presenta come un pezzo di electro dark davvero di poco conto, che mi ha riportato alla mente i quattro vampiri/buffoni romani Theatres Des Vampires.

Con "Exit Upon Void" e "Don't Be Happy" i nostri ci propongono qualche cosa di un po' più serio, dal momento che se musicalmente si continua con il continuo miscuglio di progressive, black e death, le liriche si allontanano dalle tematiche poco serie (anche se davvero divertenti) dei primi due pezzi, preferendo tematiche di altro sfondo, come ad esempio quella di redenzione (che mi pare comunque poco seria) scelta per "Exit Upon Void".

Approdiamo così al vero cafolavoro del disco, "Gangbang", canzone il cui testo recita così:

There's a gang bang on my screen
And I watch it till it aches
My only pleasure is to watch you
When sweat melts with your skin
If you want it, do it
Call me Mr. Obsession

Cosa aggiungere??? Bhè sicuramente musicalmente siamo davanti all'ennesimo stravolgimento, i C in C si divertono ora a mischiare lo scream di Arno con una base dance alla quale si intrecciano delle linee chitarristiche di chiaro stampo progressive.

Ecco...ora ciò che segue è quanto di più idiota, od intelligente, sia mai stato concepito da mente umana, ossia la splendida, cacofonica, inutile, fantastica (altri appellativi proprio non mi vengono in mente) "Daaahhh", un pezzo di durata appena superiore al minuto e mezzo composta da tre accordi, una base ellettronica sui quali si adagia lo scream che recita ancora una volta una lirica da premio oscar, ma starvi qui a scrivere le parole sarebbe quanto più scorretto potrei mai fare, è per questo che vi invito, anzi vi obbligo, ad andarla a leggere, ne rimarrete estesiati.

A chiudere il lavoro ci pensano "Ring My Bell" e "Fear Not Fear" che proseguono più sulla scia di "Exit Upon Void" e "Don't Be Happy" restando più ancora ad un certo death metal tecnico che m'ha riportato alla mente i lavori un po' più classici di casa Hieronymus Bosch o giù di lì.

Che altro dire??? Bhè, dal punto di vista tecnico i due francesi, aiutati da Pierre Antonik alle chitarre, Romain Caron alle chitarre e le backing vocals, Timmy Zacevic alle tastiere ed El Worm ancora alle chitarre, se la cavano alla grande, sono precisi, capaci di proporre un song-writing di grande spessore, elaborato, eccentrico ma sempre elegante e raffinato, ma secondo me questo disco va preso molto più alla leggera, senza far troppa attenzione all'aspetto prettamente musicale, focalizzandosi invece sui testi, vero centro focale del lavoro. Detto ciò, dare un voto a questo disco è davvero inutile, dal momento che c'è chi lo considererà un capolavoro e chi un immane aborto, ma credo che in entrambe i casi, l'ascolto sia utile, quanto meno per ascoltare qualche cosa che va un po' fuori gli schemi. 

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