Gli preferisco altri sassofonisti italiani come feeling, fraseggio, attitudine; ma non ho mai sentito nessuno con un talento puro come il suo. Fosse nato in America forse lo avremmo annoverato, più che altro per una questione di visibilità, tra i giants del Jazz; ma d'altro canto avremmo perso sicuramente la onesta genuinità di questo ragazzo di Monte Mario. Questo fattore, comunque, non ha precluso alcunchè dal punto di vista musicale, dato che Massimo è riuscito comunque a ritagliarsi un significativo posto nella storia del Jazz. Questo rendeva unico Massimo Urbani: il suo talento fuori dal comune associato alla sua emotività romana.

Un ragazzo sinceramente entusiasta, un ragazzo dagli occhi vivi e che amava Jimi Hendrix e la Roma, Charlie Parker e la la Bossa Nova. Da adolescente rimanevo affascinato dalla vita delle rockstars famose, ma col tempo ho trovato nelle storie borderline dei jazzisti qualcosa di più significativo, di più profondo, di maggiormente affine con la mia idea di vita da musicista legata alla musica. Credo che il contesto musicale ed umano di un piccolo jazz club, sia comunque più interessante di quello di uno stadio con 80.00 persone. Questi elementi che hanno accompagnato la sofferta ed eseltante vita di Massimo Urbani, hanno un qualcosa di romantico se associati appunto alla umanità della Roma popolare e popolana. Tuttavia il suo spirito pulito e sincero andava di pari passo con la droga, ed il primo ad avvertire questo fare i conti con due lati della stessa medaglia era lui stesso. Mauro Verrone dal libro: "queste sostanze credo gli servissero per essere un po' più cinico, più duro, pieno di sè; altrimenti era troppo tenero, si impressionava. Era una persona con una grande vulnerabilità". Non sono uno psicologo, non voglio dare vita a demonizzazioni e men che meno a mere giustificazioni; ma quello che agli occhi della gente comune potrà apparire come un comune caso di tossicodipendenza, io ci vedo comunque una sfumatura essenziale: l'emotività di un musicista la quale, con le alterazioni del caso, riesce comunque a distinguersi nel bene e nel male dall'emotività delle persone comuni. Non si parla del musicista - a proposito di rockstars - carico di denaro pronto a convergerlo nei suoi vizi, anche perchè Massimo era molto spesso in bolletta.

Qua si parla di un ragazzo dalla sensibilità simile ad un macigno, il quale ha donato il suo cuore e le sue paure alla musica così come alla tossicodipendenza. Alla fine Massimo voleva soltanto sentire la vicinanza musicale e spirituale di chi gli stava attorno, al fine di regalare tutto sè stesso in termini musicali ed umani. Credo che il suo storico metteme er feeling racchiuda e spieghi in modo esplicativo questo suo desiderio di ricevere e di donare. Sempre Mauro Varone dal libro: "quando diceva "m'hai messo er feeling", gli altri capivano. C'era anche una schiera di persone che non lo seguivano in questo, ma quel distacco che aveva creato era del tutto involontario. Queste parolette americane e inglesi s'incastonavano in un discorso romanesco e risuonavano perfettamente".

Questo viaggio di Carola De Scipio parte da lontano: suo fratello Maurizio - il quale interpreterà lo stesso Massimo qualche anno dopo nel film "Piano, Solo" -, suo zio Luciano e gli amici del quartiere cominciano a raccontare la prima parte della vita di Massimo: delle sue estati passate serenamente a casa dei nonni a Camerata Nuova, in cui avvenivano i primissimi contatti di Massimo con la musica, anche grazie alla passione del nonno Antonio per la banda del paese. La banda di Monte Mario ad esempio annoverava una nutrita rappresentanza del clan Urbani. Il padre di Massimo era un simpatico fact totum appassionato di Jazz. Questo clima, ovviamente, nel quale trovava posto anche Jeannot, pittoresco calzolaio di Monte Mario ed ex orchestrale di Fred Buscaglione, cominciava a formare la sensibilità musicale di Massimo. Il libro sarà una fantastica cavalcata dentro la vita di Massimo Urbani: vita fatta di amicizie sincere, incontri straordinari, eccessi insostenibili, passioni travolgenti, amare incomprensioni. La crema del Jazz italiano lascia significative testimonianze nelle persone di Rava, Pieranunzi, Capiozzo, Ascolese, Gaslini, Giammarco, Bonafede, Di Castri. Molto sentite le parole di Valentina Amadori, ovvero la sua ultima compagna che gli ha regalato uno splendido bambino, Massimo junior, nato purtroppo dopo la uscita di scena del padre. Il loro rapporto dona la chiave di lettura definitiva della personalità di Massimo: una personalità dalle sfumature angeliche e infernali costantemente in contrasto.

Uno spendido regalo impreziosisce il libro: un disco registrato al Larry's Club nel 1988. Se la memoria non gioca brutti scherzi dovrebbe trattarsi di un club di Torino e che porta il nome di un altro sfortunato sassofonista, ovvero Larry Nocella. Il disco si apre con un originale di Massimo, "A Trane from the East", il quale avvicina simbolicamente Massimo a Trane come se nel Giudizio Universale di Michelangelo si trovassero due sassofoni invece che due braccia (...) Da segnalare anche una superba versione di un classico a lui caro, ovvero "Every Thing Happens to Me", contettualmente vicina alle versione di uno dei suoi miti, Sonny Stitt. Se c'è passione musicale ed umana il libro si legge tutto d'un fiato e in un batter d'occhio.

Quindi: verso le 12:00 leggete il libro, poi preperatevi una carbonara e mangiatela mentre ascoltate il disco allegato al libro. Massimo vivrà, garantito.

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