Un mio grande rammarico è non essere mai andato fino in fondo con la visione delle diverse edizioni della classica serie fantascientifica “The Twilight Zone”. Forse rinvio continuamente perché mi sembra una impresa troppo grande con cui misurarmi e uno dei miei più grandi limiti è quello di spaventarmi davanti a tutto quello che non riesco a "misurare". Questa cosa mi impedisce di tenere il controllo della situazione e avere il controllo della situazione (o almeno pensare che sia così) è qualche cosa di cui ho sempre e comunque bisogno in ogni circostanza. Ciononostante posso benissimo asserire di amare quel tipo di storie di fantascienza minimali, brevi e semplici storie dal carattere tipicamente vintage e che riescono a essere essenziali pure nella loro brevità: raccontare una storia avvincente e ricca di spunti in poco tempo e con pochi mezzi a disposizione. Con un numero limitato di ambientazioni e di personaggi.

Chiaramente questo immaginario non ha nulla a che fare con i blockbuster tipici delle mastodontiche produzioni hollywoodiane, ma per fortuna il cinema indipendente (come già rimarcato in passato) ci offre spesso spunti interessanti. Prendiamo “Radius” (2017) di Caroline Labrèche e Steeve Léonard. Questo film canadese si allinea sicuramente al tipo di schema già richiamato, raccontando una storia che riprende peraltro alcuni dei temi tipici di un immagionario Stephen King molto influente in particolare durante gli anni ottanta e l'inizio del decennio successivo. Siamo nel Manitoba nel Canada occidentale e un uomo e una donna reduci da un incidente non ricordano niente del loro passato né uno dell'altra, ma scoprono di essere connessi da un legame di reciprocità molto particolare. Liam (Diego Klattenhoff) infatti, secondo modalità che prescindano la sua volontà, non può essere avvicinato: chi si avvicina di lui a meno di cinquanta piedi di distanza cade immediatamente a terra morto stecchito. Ma se Liam è affiancato da Jane (Charlotte Sullivan) questo suo potere (che appare più una specie di maledizione) viene meno. Tenuti assieme da questa specie di “vincolo” i due proveranno a ricostruire la loro storia e nel frattempo scampare alla polizia che è sulle loro tracce, fino alla sconvolgente e inattesa verità.

Molti aspetti, quelli poi tipicamente fantascientifici, in realtà restano irrisolti e questo può lasciare perplessi gli spettatori secondo uno schema comunque tipico e che lascia molte porte aperte all'immaginazione e interpretrazione. Ma la mia idea è che una spiegazione non sia sempre necessaria e a parte questo, sia forse proprio questa scelta a rendere “Radius” un buon film: stabilire fino a dove ci si può spingere senza poi scadere nella banalità o in eccessi. In realtà poi come si potrà constatare, non mancheranno comunque contenuti di natura etica e morale e che secondo una reinterpretrazione della antica legge "dantesca" del contrappasso, portare la morte si rivela alla fine come una punizione dolorosa e che però non risolve, perché la violenza non può lavare il sangue versato con altra violenza, ma fare solo terra bruciata tutto intorno.

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