Io devo essere pazzo, o forse giovane, o forse soltanto un coglione. Dio solo sa quante volte abbia provato conflitti interiori, quante volte abbia sentito il bisogno di urlare fino a diventare violaceo, il bisogno di trascendere, di sublimare... certe volte mi prendo a schiaffi, tiro tremendi pugni ai muri di cartapesta di casa mia, rotolo verso sud per le scale digrignando i denti...Dev'essere che in questo periodo, con questo clima, che qua diluvia, tira vento, l'acqua cola dalle ossa, voglio starmene in casa. E sì dai, il pieno inverno è un'occasione per determinate attività: leggere un buon libro, farsi una cioccolata, procreare davanti al caminetto... tuttavia, se non esco e non mi sfogo, che c'ho un fuoco dentro peggiore della gastrite, divento così: squiliBBrato. E allora ho bisogno di dischi che mi coccolino.
Ecco, "Obsian", in fondo, ti coccola. Secondo parto dei newyorchesi Castevet, uscito per la Profound Lore, trattasi di un pregevole lavoretto per palati fini e bisognosi di sublimazione. Avantgarde-Metal. com lo descrive come "luce bianca che copre un piano di metallo nero". Io, invece, quando ascolto "Obsian" talvolta ho l'impressione di nuotare, di fluttuare. Non come Drugo, certo, e nemmeno verso quella distesa ghiacciata o astro o fiocco o qualunque cosa sia. Io mi muovo DENTRO quella cosa; è come cadere sprofondando con un moto a spirale. E più a fondo si va, più calma (pur sempre nel vortice) si trova: da "The Tower", che mi ha vagamente ricordato dei Death versione metà anni'90 in salsa black, fino a "Obsian", una sorta di "Acrid Placidity", e a "The Seat of Severance", dal diafano canto baritonale (gentile concessione di Nick Podgurski). Vi sembra una contraddizione? Ben venga. Talvolta la musica supera la logica.
Un disco piuttosto corto -sui 35 minuti- ma ricchissimo, pieno di motivi, suggestioni, cambi di rotta. Qua dentro c'è tutto quello che desidero. Ci sono momenti che riportano ai Godflesh, altri che rimandano ai Blut Aus Nord, spunti math tanto improvvisi quanto schizzati (finale di "Cavernous", ad esempio), un po'di ambient che ci sta sempre bene, assurde trame di batteria, accenni al post-hardcore, e le "spigolature" e l'acredine (anche se contenuta) che assicura un sostrato black che fa sempre capolino. Il tutto assemblato non a casaccio, ma in modo da non annoiare mai e anzi da esaltare i padiglioni auricolari. Formalmente suddiviso in sei tracce, "Obsian" è di fatto un viaggio unitario da cui bisogna lasciarsi abbracciare e affrontare. Un album sicuramente complesso, labirintico, ma che proprio per questo comunica ogni volta qualcosa di nuovo. Se già nel debutto "Mounds of Ash" si intravedevano buone cose, qua c'è da leccarsi i baffi. Da provare.
Carico i commenti... con calma