Non c'è nulla di più inquietante di una notte oscura, senza stelle e tu solo, inerme, davanti ai tuoi più profondi incubi, accompagnato da pensieri e paure che ti sconvolgono l'anima e si nutrono di te da dentro.
Scavando affondo nella discografia novembrina, mi è capitato di imbattermi in un demo datato 1991, intitolato "Unreal", che potrebbe essere la trasposizione in musica di tutti quegli incubi che più o meno perseguitano ogniuno di noi: questo "Unreal" compare ancora sotto moniker Catacomb, che come già si era detto sulla recensione di "The Return Of The Ark", era il nome adottato dai fratelli Orlando nell'epoca precedente al 1993.
Composto da sette pezzi, questo demo è forse l'ultimo disco dei fratelli catanesi ad essere ancorato saldamente al death metal e se sono comunque riscontrabili alcune soluzioni vicine al gothic metal o al progressive, non fatevi comunque trarvi in inganno, ciò che troverete in questi brani è una marcia violenta, un assalto frontale di una cattiveria inaudita.
Partendo dal malinconico intro "Intro/Tearing", passando per "Foreseen Epitaph" e giungendo a "Chrysantemus", sino ad arrivare al trio finale composto da "Insect", "Cemetery Of The Leaving Ones" ed "Outro/Ruins", i 19 minuti non riescono mai a comunicare un momento di speranza, sembra di cadere in un mondo totalmente nero, nel quale regnano solo morte, paura e niente altro.
I riffs sono veri e propri macigni, ripetuti più volte, le sezione ritmica è furiosa, velocissima, precisa, non perde mai un tempo e sulla musica si adagia impetuosa la voce di Carmelo, un growl disperato che non lascia spazio ad alcun pensiero di serenità.
Nulla di tutto ciò che troverete all'interno di questo breve demo deve portarvi alla mente ciò che oggi sono i Novembre, qui viene riportata solo la parte più tormentata della figura dell'uomo, e ciò si evince non solo dalle musiche, ma anche dai testi incentrati sul tema della morte, con numerosi riferimenti a cimiteri, dediche a morti, crisantemi, forse tutto ciò non sarà condivisibile, sono il primo a riconoscerlo, eppure di fronte ad un lavoro così ingenuo ma anche così dannatamente affascinante, credo che si possa chiudere un occhio e lasciarsi trasportare per un unica volta in questo lunghissimo viaggio invernale.
Vorrei spendere solamente altre due parole per la copertina, che già da sola potrebbe descrivere brevemente ciò che incontrerete nell'album: è una rappresentazione in bianco e nero del celeberrimo "L'Incubo" del pittore spagnolo Francisco Goya, un'opera tanto affascinante quanto tetra, che contribuisce a modo suo a rendere ancora più gustoso questo lavoro.
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