Anno 2000. Il nuovo metal è crepato sotto la pubblicità di MTV, e risorto in vesti firmate. La musica estrema giace tronfia e svuotata di esiti destabilizzanti: omicidi, galera, qualche denuncia di troppo. Il death metal si sta riscoprendo malinconico e gli In Flames cavalcano l'onda propizia, il black è sprofondato negli abissi dell'underground, diventando per molti versi un '77 punk parte seconda (con le dovute proporzioni).

I Cathedral ed il loro leader autodistruttivo Lee Dorrian, sempre più bolso e fradicio di eccessi, si fermano per un attimo: scendono dalla nuvola revivalista di fiori e fumi anomali, e si rendono conto che la Terra, abbandonata qualche disco prima, è al collasso. Ne esce questo "Endtyme", uno sguardo al passato più doom, un LP intriso di pessimismo e visioni opprimenti. La musica degli inglesi non è più la colonna sonora di una parata fantasmagorica in un vecchio paesino nebbioso, con al massimo qualche spavento.

Canzoni fatte di fango e catrame, a volte insostenibili nelle loro distorsioni lugubri, intense ma prive di momenti liberatori, sfoghi epici di catarsi. Infine, un passo indietro nell'evoluzione del gruppo, un sospiro di stanca compositiva, che a momenti notevoli (la bella ""Requiem For The Sun", "Alchemist Of Sorrow") alterna parentesi poco riuscite o passaggi sgradevoli ("Whores To Oblivion" nel suo finale cacofonico). Qualche momento meno oppressivo passa quasi inosservato in mezzo a tanto marciume sonoro.Degno di nota è l'attacco iniziale, dopo l'intro "Cathedral Flames", di "Melancholy Emperor", col suo incedere arrembante e massiccio.

Un'opera onesta, primordiale ma altresì meno avanguardistica rispetto ad altri lavori del gruppo. Per una volta anche l'artwork si distacca dai soliti splendidi dipinti, fantasiosi e  grotteschi, presentando una figura scheletrica ergersi nelle sue tonalità di viola e dorate a sigillo inequivocabile di un'opera orribilmente tetra, interessante ma interocutoria.

Carico i commenti...  con calma