"Endtyme" non è "Forest Of Equilibrium", non è "In Memoriam", non è "The Carnival Bizarre" e tantomeno è "Seventh Coming". Voi direte: "e grazie al piffero!". Ed io continuo.
"Endtyme" non può essere paragonato a nessuno dei precedenti album dei Cathedral, tantomeno al successivo, dove il combo capitanato dal carismatico Lee Dorrian è scaduto nella più becera piattezza semi-stoner, in un assoluto anonimato di idee.

"Endtyme", in realtà non è altro che un viaggio nel passato, una riscoperta delle proprie origini tremendamente doom di una band che ormai era cresciuta e maturata non poco da quel 1991. Vi è in esso una vena vagamente malinconica, ma soprattutto vi è quell'atmosfera cupa e opprimente che più si addice alle loro composizioni, quel buio pesto generato dalla lentezza delle distorsioni, e dalla voce roca di Dorrian. Si, d'accordo, la vena puramente "happy-doom", stilisticamente inventata dal gruppo, è rimasta invariata, e spesso e volentieri pare di ascoltare riff presi da qualche gruppo heavy metal qua e là, ma ciò che è importante, ciò che realmente conta, è che alla base di questo roccioso lavoro non vi è altro che doom, doom e ancora doom.
I Cathedral si riappropriano della loro identità, ripescano dal fagotto d'oro quelle sonorità indimenticabili che avevano reso unici i loro primi lavori, le dilatano a dismisura con una produzione tanto grezza quanto nitida, buttandoci tra le loro migliori melodie e macinando riff su riff, lenti e terribilmente pesanti (ascoltare "Cathedral Flames", o la successiva "Melancholy Emperor" per credere...).

Questi sono i Cathedral di "Endtyme", una band che ha ripreso la sua strada e a quanto pare ha tutta l'intenzione di mantenere il suo ruolo nell'ambito della scena doom metal mondiale. E bravi.

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