Ci sono molti gruppi interessanti della scena indie (o post-wave) primi anni 90 fatalmente e ingenerosamente relegati in un circuito di nicchia nella madre patria Gran Bretagna: tra di loro, sicuramente, i Catherine Wheel.

Nati nel 1990, grazie a Brian Futter (chitarra), Rob Dickinson (voce e chitarra), Dave Howes (basso) e Neil Sims (batteria), i Catherine Wheel, il cui nome è dovuto probabilmente a "Colours Fly and Catherine Wheel" nel celeberrimo "New Gold Dreams" dei Simple Minds, furono molto apprezzati dai cultori di rock alternativo negli Stati Uniti, in cui si rifugiarono, demoralizzati dall'ondata di brit-pop facile e senz'anima e perchè decisamente superati in popolarità da band pregevoli come i Verve e dai fuoriclasse Radiohead. Curiosamente, i gruppi di Ashcroft e Yorke iniziarono proprio come supporters dei Catherine Wheel, i quali, per una sorta di ironia beffarda, finirono con subire l'umiliazione di vedere questa situazione completamente ribaltata a loro sfavore.

Quest'album del 1992, "Ferment", è un collage di dark, di shoegaze, di influenze new wave della prima ora, di dream pop e psychedelia e di tutto ciò che c'è stato di buono del decennio precedente, grazie anche ad artisti come Echo & The Bunnymen e Pixies, considerati da molti come i principali modelli di riferimento dei Catherine Wheel. Il risultato di tutto ciò dà vita a un lavoro dall'archittettura stilistica e strumentale di invidiabile perizia e genuinità, di enorme pathos, di atmosfere cupe e orgasmiche, di ricche e corpose sonorità. Futter e la sua chitarra si destreggiano in armonie passionali e visionarie, coadiuvati da una sezione ritmica prorompente e incontenibile e dalla voce di Dickinson, profonda e trasognata.

Brani come "Flower to Hide", "Tumbledown" e "Salt" sono un crescendo di ardente cacofonia psichedelica, come del resto l'allucinata "Texture"e le ammalianti "She's my Friend" e " Black Metallic" . Con "I Want to Touch You" e "Tumbledown" la bravura di Brian Futter si fa ancora più prepotente, impegnata in arabeschi di dissonanza lisergica ed esplosiva, come il riff iniziale di "Indigo Is Blue". Leggero e soave è il brano omonimo dell'album, dai sussurri delicati e melodie rasserenanti, alternate da improvvise schitarrate violente; favoloso il brano di chiusura "Ballons" dal ritornello travolgente e simile a una spensierata filastrocca.

Ascoltando "Ferment" si ha la sensazione di addentrarsi in un sentiero circondato da specchi deformanti; l'impressione che lascia è quella di aver udito dei suoni che prendono corpo e vita, una corporeità a volte eterea, seducente e appena percettibile, a volte impetuosa e tangibilmente devastante. Questa è l'opera prima di una band, ingiustamente relegata a un ruolo di secondo piano, degna di essere ricordata come uno dei capitoli più felici di un'epoca che oggi sta ritrovando una seconda giovinezza, la cui ricercatezza degli arrangiamenti e lo straordinario impatto emozionale rasentano la perfezione.

Genere: indie-rock/noise/shoegaze

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