Il pifferaio alle porte di Boise, Idaho…

Il volgere dei 90 vede arenarsi il progetto Treesold, gruppo depositario del segreto di un oscuro post-hardcore, implodendo su se stesso. Dalle ceneri si ergono due distinte fenici dell’underground americano, che caratterizzeranno l’ultima decade del secolo scorso, contribuendo alla rinascita (sviluppo) della musica a stelle e strisce. I Built To Spill del malinconico Doug Martsch sondano il lato più melodico/psichedelico di questo mostro informe chiamato indie, conquistandosi un posto al sole (peraltro, limitatamente ai confini nazionali), un folto e fedele seguito ed uno stuolo di discepoli (Modest Mouse su tutti). L’anima sporca di Brett Nelson, invece, si evolve nei Caustic Resin e parte dalle istanze della “nuova moda grunge” di Seattle, per arrivare a perlustrare territori che si dilatano in un percorso a ritroso alla ri-scoperta delle frontiere cosmiche dello space-rock, della lunatica psichedelia barrettiana del pifferaio o quella più “arty” del muro di Waters.

Il terzo capitolo della saga, “The Medicine Is All Gone” è quello con maggiore forma e sostanza, compatto, duro ed a tratti violento… dove ogni traccia sembra non voler mai aprirsi alla speranza. Un alone di instabile claustrofobia sembra pervadere l’intero lavoro, per cui “Dripping” si sviluppa indecisa fra Alice In Chains e Kyuss ed “Half Step” è un botta e risposta fra i P.I.L. ed i Gang Of Four, con una malefica slide a fare da mediatore. Il folk-core torbido di “Hate In You” e quello “barrettiano” dell’iniziale “Cable” sono le porte per entrare nella splendida “You Lie” dove i Crazy Horse e Neil Young provano a suonare jazz dilatato alla maniera dei Sonic Youth nel loro periodo di mezzo (anni 90… N.D.R.).
L’America dei grandi spazi è sublimata nella splendida “Mysteries Of… /Hold Your Hands Up”, un traditional trasfigurato dentro il girone pop-noise dell’inferno della musica; con la voce di Netson a fare il verso ai cantanti metal anni 80. “Once And Only” è il duello a colpi di slide con gli amici/rivali Built To Spill, ambientato in un mondo calato nella nebbia rarefatta del mattino di “Salamander” o nella tempesta che si scatena all’imbrunire di “Enough”. Il finale me lo riservo per la visionaria desolazione di “Niacin”, dove i nostri tentano di annientare la speranzosa odissea intergalattica di Bowie, catturando l’astronave di Ziggy Stardust in un vortice di distorsioni liquide e per lo sbilenco country di “Man From Michigan”, esercizio di stile southern sul quale il (troppo) pluri-osannato Sufjan Stevens dovrebbe prendere qualche ripetizione.

In breve… 5 stelline sicure, per chiunque si senta a proprio agio col male di vivere.

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