Miles Davis, Andrew Hill, Sam Rivers, Yusef Lateef, Keith Jarrett, Jackie McLean, Wayne Shorter. Se hai suonato con gente del genere il pedigree dice che sei un jazzista di razza. Ma di jazzisti eterni session men, eterne spalle, eterni gregari ne è piena la storia.
Cecil McBee è un grande Session Man, con un curriculum spaventoso, già nel 1977 (vedere i nomi sopra, e non sono tutti), contrabbassista di grande Tecnica e dal suono corposo, e con una gran voglia di esprimere il proprio talento compositivo in un disco di quelli da ricordare, da tramandare ai posteri. La voglia di uscire dal mucchio si era già vista in “Mutima” primo album in proprio del 1975 (già un ottimo album), così come in “Music from the source” di un paio anni dopo.
Ma è con questo “Alternate Spaces” che McBee Trova la quadratura del cerchio; E’ Con questo album di ottimo Post Bop, in cui la lezione del Free Jazz è completamente assimilata e rielaborata, che porta a compimento un concetto di scrittura molto personale, originale ed efficace .
Emblematica nel rappresentare la forza espressiva di questo disco è la stupenda “Consequences”. E’ un brano dal tono profondamente meditativo ed estatico, in cui Cecil McBee fa vibrare il contrabbasso con l’archetto creando un clima di attesa per un qualcosa, un’accellerazione, un’esplosione che non ci sarà mai; una sensazione di indefinito e magico si protrae per tutto il pezzo, con la tromba ed il sax prima all’unisono, poi in contrappunto a contornare i poliritmi sgangherati di Allen Nelson.
Chico Freeman si divide mirabilmente tra soprano e tenore nell’insistente e latineggiante “Come Sunrise” brano centrale dell’album in cui le percussioni di Don Moye sono il substrato ideale su cui sprigionare impennate melodiche di grande impatto e tensione emotiva; Il fenomenale Don Pullen al piano si ritaglia uno spazio dignitosissimo su “Sorta, Kinda Blue”, un bop più convenzionale in cui anche Joe Gardner può sollevare la testa e far squillare un perfetto assolo alla tromba.
Nel Complesso giganteggia più che altro McBee, strabiliante in tutte le salse, quando accompagna, quando impugna l’archetto o quando si lancia in assoli vertiginosi (l’opener “Alternate Spaces” si apre con un lunghissimo e spettacolare assolo di contrabbasso).
“Alternate Spaces” è senz’altro un album da mettere sul piatto prima o poi, di certo non fondamentale per capire la storia del Jazz, ma di quelli che di spessore ne hanno tanto, di bellezza musicale altrettanta, un disco di Jazz maturo, vario ed eclettico; Un “must” ma solo per orecchie affamate di grande Jazz.
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