Tante belle parole quelle che popolano la biografia e le note stampa di accompagnamento all'omonimo disco di debutto dei Centenaire; si va dalle immagini suggestive e nostalgiche di registrazioni effettuate in una casa di campagna, su di un tappeto e davanti al caminetto, a una quantità indefinita di strumenti utilizzati, compresi rumori naturali e piante sciamaniche (...) e non volendo trascurare che, tra le varie influenze, citano nomi "grossi", dai This Heat a Nick Drake passando per la Penguin Café Orchestra.
Però poi tutto ciò si scontra con un album che è troppo pretenzioso, probabilmente molto più per come il suono è venuto fuori che non per quelle che erano le intenzioni della band (e su questo non intendo sindacare), ma all'atto dell'ascolto tale è la sensazione che si sperimenta. La volontà di portare a compimento una sorta di congiunzione astrale tra rock in opposition, progressive bucolico, folk, post rock, ipotesi neoclassiche e strutture jazz rarefatte era onestamente di difficile realizzazione e il fatto che i Centenaire non siano riusciti a finalizzare nel migliore dei modi la missione non deve far gridare allo scandalo, però deve far riflettere i musicisti circa l'eventualità di lavorare maggiormente sull'idea originaria e adottare soluzioni meno ricercate e più compatibili con quelle che sono le capacità degli autori stessi.
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