Alzi la visiera del cappellino e di fronte allo specchio leggi inconfondibilmente la scritta Suicidal Maniac, metti il calzino di spugna e lo fai arrivare fino al ginocchio, in mano hai il tuo fido skate scassato a causa dei marciapiedi sconnessi e in cui oramai gli adesivi di Black Flag e D.R.I. sono sbiaditi con il passare del tempo. Sembra di esser tornati nel 1984 ed effettivamente quello che ci presentano i Ceremony nell'ode decadente alla loro città natia, Rohnert Park, è proprio un ritorno a un sound che riporta alle radici dell'hardcore punk. Non si conoscesse la data d'uscita, che segna 2010, mettendo una mano sugli occhi per non cercar suggerimenti, le sole macerie sonore trascinano la mente nei meandri di quella California soleggiata fatta di distese d'arido asfalto, cemento e sabbia rovente che accompagnano le giornate di impavidi surfisti, street artist e skater pronti a sfrecciare lungo la costa. L'atmosfera fa risorgere direttamente quel mood alla Attitude Adjustment o il punk rock svirgolo dei Circle Jerks che quando acquista vigore si spinge sui sentieri inceneriti tracciati dagli Accused o dai Cryptic Slaughter. Poi capita che ora i Ceremony (che vedrò sabato sera) han preso alla lettera il proprio monicker e si son dedicati al post punk di estrazione Joy Division. Questo 5 anni dopo Rohnert Park, prima c'era tanta voglia di buttarsi tutto alle spalle a suon d'irriverenza hardcore: "Sick of drying up in the sun Sick of this island Sick of fun Sick of being sober Sick of starting over Sick of black flag Sick of cro mags Sick of the living Sick of people dying Sick of the buying Sick of trying Sick of television Sick of telephones Sick of homophobes Sick of condos Sick of the GOP Sick of liberals Sick of me Sick of obama Sick of head trauma So very tired of feeling sick Sick of living in america Sick of mass hysteria Sick of realism Sick of buddhism Sick of longboards Sick of hardcore Sick of baptists Sick of atheists Sick of police Sick of yuppies Sick of paying rent Sick of being bent Sick of hearing lies Sick of mankind."
I Ceremony non cercano di render più leggera e dolce la pillola, Rohnert Park è un full length cosparso d'amarezza e disillusione che alimenta con ferocia l'urlato sporco e ingrugnito di Ross Farrar. Se l'espressività variasse dal graffiato corposo e abrasivo è solo per dedicarsi sarcasticamente a cantilene scanzonate e storte. Chi l'avrebbe detto che dopo un paio di anni le sue corde vocali si sarebbero ritrovate a flirtare con l'ispirazione di Ian Curtis. Qui dentro invece c'è solo l'incessante stop & go fra riff squisitamente vecchia scuola e una batteria che ribolle lì, sotto traccia, pronta a ritagliarsi il suo spazio con tutti i rallentamenti e le accelerazioni del caso, fra saette di tupatupatupatupa, primordiali blast beat e improvvise interruzioni che aiutano ad alimentare la schizofrenia spigolosa dei Ceremony. I nostri partono con l'introdurci al loro mondo costellato di auto-distruzione e ribellione al tempo stesso, alle proprie catene, alla propria condizione, all'esser stufi di rimaner legati alla vita quotidiana di Rohnert Park. Siamo pur sempre in un disco hardcore punk, no? L'influenza del thrash fa capolino distrattamente e episodi come il secondo capitolo della Triolgia di "into the Wayside" creano il giusto clima caustico. La coltre polverosa alzata dai Ceremony difficilmente si dirada e le cartucce vengon esplose in sequenza; si scollina i due minuti per sbaglio più di una volta, in ogni caso si tratta di tempo ben speso a sentir chitarre che impazziscono e buttan giù trame frenetiche e disorientanti, con melodie e assoli dal sapore classico. La combinazione perfetta. È la tempesta perfetta, in cui il basso nevroticamente tratteggia e scolpisce gli ultimi tratti dello scenario abitudinariamente apatico del quintetto californiano.
Dopo mezz'oretta tutto svanisce, ma l'impressione che rimane è quella di aver fatto un tuffo pesante nel passato, dove la claustrofobia senza sfronzoli del punk aveva la meglio e ti venivan buttati addosso vagoni di rabbia, uno dietro l'altro, pronti a sfracellarsi. Non rimane altro che uscir di casa su quello skate, gironzolare fra quartieri anonimi che sembran creati con la fotocopiatrice: giardino, garage, auto, giardino, garage, auto, giardino, garage, auto, ripetere all'infinito, cercando di guardar oltre il soleggiato orizzonte e vedendoci invece la solita calma piatta che in qualche modo andava smossa, si legga "Rohnert Park LP" per l'appunto. È tutto qui, senza enormi giri parole, schietto e genuinamente consegnato a domicilio.
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