La protagonista di questa storia è Clelia.
Affermata operatrice del mondo della moda, su incarico dell'azienda romana per la quale lavora torna nella natia Torino per controllare lo stato dei lavori di una boutique in apertura. La sua è una storia di successo, di rivincita, di emancipazione - non solo femminile: anche e soprattutto dall'ambiente operaio. Ma è anche una storia di cinismo, di solitudine, di morte.
Così, camminando tra le mura annerite e diroccate dai bombardamenti della capitale sabauda - nel disgelo, non solo climatico, che segue la lunga, folle notte europea - si ritrova, quasi per caso, a passare nel luogo dal quale è partita, alla ricerca del successo e del proprio posto nel mondo, tanti anni prima.
«In uno di quei giorni - piovigginava - dovetti tornare prima di sera dalle parti della Consolata. Cercavo un elettricista e mi faceva un certo effetto rivedere le vecchie botteghe, i grandi portoni nelle viuzze, e leggere i nomi, riconoscendo le insegne. Nemmeno i ciottoli delle strade erano cambiati. Non avevo l'ombrello e, sotto le strisce strette di cielo in mezzo ai tetti, ritrovavo l'odore dei muri. "Nessuno lo sa - mi dicevo - che sei tu quella Clelia". Non osavo soffermarmi e mettere il naso nelle vecchie vetrine. Ma quando fui per ritornare, non mi tenni. Ero in via Santa Chiara e riconobbi l'angolo, le finestre inferriate, il vetro sporco e appannato».
L'emozione, la smania, l'eccezionalità del ritorno, fanno ben presto luogo alla delusione, l'amarezza, la constatazione del tempo perduto. Clelia è cresciuta, è diventata donna, è tornata; ma ad aspettarla, a riconoscerla, a riabbracciarla, non è rimasto nessuno:
«Avrei voluto andarmene. Quello era tutto il mio passato, insopportabile eppure così diverso, così morto. M'ero detta tante volte in quegli anni - e poi più avanti, ripensandoci - che lo scopo della mia vita era proprio di riuscire, di diventare qualcuno, per tornare un giorno in quelle viuzze dov'ero stata bambina e godermi il calore, lo stupore, l'ammirazione di quei visi familiari, di quella piccola gente. E c'ero riuscita, tornavo; e le facce, la piccola gente, eran tutti scomparsi. Carlotta era andata, e il Lungo, Giulio, la Pia, le vecchie. Anche Guido era andato. Chi restava, come Gisella, non le importava più di noi, né di allora. Maurizio dice sempre che le cose si ottengono, ma quando non servono più».
La lunga disillusione di Clelia si snoda dai laboriosi vicoli della Torino operaia ai salotti ovattati della Torino bene; non meno futili ed evanescenti sono le altre figure femminili che la accompagnano, in primo piano o sullo sfondo, tra le vicende del libro.
Nella loro vuota vanità, incapace di pietà o sentimenti, anch'esse tratteggiano in modo malfermo i contorni di un mondo in cui come sempre, in qualsiasi circostanza, la figura del più debole è destinato a soccombere.
Prima edizione: Cesare Pavese, "Tra donne sole", in "La bella estate", collana "I supercoralli", Einaudi, Torino, 1949.
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