Erano anni che non leggevo più niente di Bukowski. La sua verità, così sporca e laida, mi era mancata. Mi era mancato Buk, il mio compagno di sbronze preferito.

"A sud di nessun nord". Ossia da nessuna parte. E' questa la meta ultima dei perdenti che affollano i racconti di Charles Bukowski. Reietti, ubriaconi, inetti, diavoli terrestri, pezzi di merda, disperati, puttane e puttane disperate. Tutti in movimento. Tutti fermi. Tutti in un movimento immobile. Tutti come lui, Hank Chinaski (alter ego dello scrittore), persi in un bicchiere, anzi, in una bottiglia. Annegati in un mare vuoto, ma sempre in tempesta: la vita.

Parla di questo, nelle sue storie, lo zio Buk: della vita. Della merda e della vita. E spesso le due cose sono perfettamente sovrapponibili ("ecco come il mondo finì, non con una bomba atomica, ma con merda merda merda.").

Uno degli scrittori più vissuti e che più ha vissuto. Un attimo crudo, cinico e spietato. L' attimo dopo così sensibile da tirarti fuori pezzi di anima. Vero. Vero fino al buco del culo.

Erotomane. Alcolizzato. Giocatore d'azzardo incallito. Uno dei tanti falliti di questo mondo infame. Con una sola benedizione: scrivere come un dio. Un senso del dialogo ineguagliabile, anche se i temi sono spesso ridondanti, o non c'è la minima azione. In questa stasi di aria rarefatta e malsana, è nascosto un universo di sporcizia affascinante come poco altro (anche se quest'opera non raggiunge i capolavori "storie di ordinaria follia" e "compagno di sbronze").

La desolazione umana non è mai stata così reale. Cosi, tristemente e splendidamente, reale.

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