Charles Ives (1874-1954), cittadino americano, mestiere: assicuratore, "Hobby": Musica. La storia della musiche di Charles Ives è molto particolare, in quanto i suoi meriti gli furono riconosciuti solo in età avanzata, dopo che agli aveva già terminato la sua "stagione creativa". Comprendere il motivo per cui la sua musica fu sottovalutata fino almeno agli anni '40 (egli scrisse le sue musiche tra i primi del '900 ed il 1925, anno della sua ultima composizione) non è difficile: Charles Ives era terribilmente avanti.
Ed il documento, la pietra folgorante che attesta la sua precocità nella storia della musica è proprio questa "unanswered question", una composizione di circa sette minuti, inizialmente composta nel 1906 per quartetto d'archi, tromba e quattro flauti, poi riscritta con poche varianti per orchestra di più elementi a metà degli anni '30. Il fatto che una composizione così concettualmente sperimentale, ardita nella struttura senza risoluzione, dilatata, armonicamente "imperfetta" e dissonante, sia stata fatta nel 1906 già basterebbe per porre Charles Ives nell'olimpo dei più grandi sperimentatori, al pari di gente come John Cage e Stockhausen. Ma in cosa consiste la concettualità dirompente e da brivido di questo brano? Con le parole dell'autore: "gli archi – immobili, pianissimo – che rappresentano il silenzio dei Druidi, che non sanno, non vedono e non odono nulla, la tromba che intona la perenne domanda sull’Esistenza, i legni che cercano, come tutti gli uomini, di dare risposte contrastanti. Gli strumenti infatti costruiscono dei suoni onomatopeici che riescono ad essere sia musica che concetto parlato. La tromba pone una domanda con un fraseggio che sembra davvero la voce di una persona (eppure le note non sono sconnesse, ma posseggono al loro interno un'armonia quasi "sacra").
Io la chiamo musica filosofica: si tratta dell'eterna domanda sul perchè dell'esistenza, che Charles Ives ha voluto genialmente trasporre in musica, riuscendoci perfettamente. Al tempo in cui la scrisse le difficoltà non erano poche, anche perchè nessuno voleva suonare le sue partiture, considerate bizzarre e realmente brutte. Di certo il compositore americano non avrebbe mai immaginato di ricevere ampi consensi molto più tardi, quando ormai viveva la sua vecchiaia, con anche il prestigioso riconoscimento ottenuto del premio Pulitzer, vinto nel 1947. Ascoltare "the unanswered question" alla luce della sua filosofia suscita delle sensazioni sicuramente uniche, si percepisce il clima di eterna attesa degli archi, la tensione emotiva dell'indagine sulla verità diviene inquietante, in quanto anch'essa non si risolve in un finale, ma resta sempre sospesa tra le bizzarre risposte dei legni, dalle polifonie estreme quanto brevi, ma incisive. Mi sento di dire che si tratti della prima opera veramente avanguardistica (e soprattutto dichiaratamente) nel senso odierno del termine, ed anticipatrice di tutto quel filone del '900 che andrà a distaccarsi dalla tradizione tonale della musica mitteleuropea (ma secondo me il distacco più forte non riguarda solo le armonie, ma anche le strutture dei pezzi).
All'interno della eterna questione insoluta ci sono i germi del minimalismo, dei flussi di polifonie ligetiani, della rottura del ritmo di Stravinsky. Sarò forse eccessivo, ma io ci vedo l'inizio di tutto. E mi premeva dirlo perchè a differenza di altri sperimentatori del '900 come Schoenberg, Webern, Glass, Cage… che sono almeno conosciuti di nome, la fama di Charles Ives è spesso lasciata nell'ombra.
Carico i commenti... con calma