Alla guida di un bel quartetto, con questo disco del 2005 Charles Lloyd ci propone un’interessante gamma di sonorità, variegata ma nello stesso tempo essenziale e senza compiacimenti.

A suo merito la scelta di una ritmica eccellente che lo sostiene lungo tutto il percorso. La pianista Geri Allen, innanzi tutto: leggera e incisiva, è lei il vero collante di questo album. E due giovani talenti: Eric Harland alla batteria, da ascoltare nei duetti che si concretizzano via via (ad esempio nella bella «Ken Katta Ma Om / Bright Sun Upon You» con Lloyd e poi Allen; oppure più nello specifico con il leader in «Both Veils Must Go») e Robert Hurst al contrabbasso. Di quest’ultimo merita segnalare il suggestivo lavoro con l’archetto per «The Sufi’s Voice», un dialogo con Charles Lloyd profumato di Balcani e di Medioriente.

C’è nel suono di Charles Lloyd, lungo tutto il disco e non solo in questo pezzo, una venatura di austero misticismo: solenne nella ellingtoniana «Come Sunday», meditativo in «Angel Oak Revisited», nervoso nella title track e infine asciutto e senza zuccherose indulgenze nella versione di un classico del romanticismo d’autore come «Ne Me Quitte Pas» di Jacques Brel. Qui il suo sax tenore sfugge ogni languore nella parte melodica e contiene il pathos dell’originale con un finale graffiante, ben sostenuto anche dagli altri partner, così da non ridursi ad un esercizio di pura dissacrazione.

Il mio pezzo preferito è la lunga «Georgia Bright Suite», articolata in due movimenti di cui il secondo («Sweet Georgia Bright») molto sciolto, particolarmente swingante e arricchito da una serie di splendidi assolo di tutti i musicisti.

La grafica è sobria, raffinata ed esaustiva nella parte tecnica come da tradizione ECM, con una suggestiva immagine in copertina e ricca all’interno di belle foto in bianco & nero. Con quarant’anni di carriera alle spalle, Charles Lloyd può vantare una lunghissima discografia in cui questo JUMPING THE CREEK va a piazzarsi nella parte alta delle mie preferenze.

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