Un'avventura.

Ammetto di avere un fissa per strumenti come il basso, il contrabbasso, il sax baritono, i primi tasti a sinistra nel piano, il tubax, il big beat "pompa", il sousafono, e qualsiasi altro strumento che abbia un suono e una natura da "basso". Oltre all'avvolgente calore che solo un buon fuoco o una spessa coperta possono offrire, penso abbiano un immenso spirito protettivo verso gli altri, come dire, "andate avanti e sentitevi liberi di esplorare i territori più remoti, che le spalle ve le copriamo noi". Per questo quando incontro alcuni personaggi, grazie alla chimica "bassa" riesco a farmeli entrare sin da subito, riuscendo ad emozionarmi metabolizzando la loro arte in tempo reale. Se poi alcuni artisti non si limitano a fare i buoni mestieranti ma si mettono anche a ricercare ecco che la figura dell'artista assume da subito una caratura mitologica.

E' proprio questo il caso di Charlie Haden. Conosciuto "a tradimento".

Ero appena all'inizio di un viaggio lungo la discografia di Ornette Coleman (partendo da "The Shape of Jazz to Come"), e fu dopo soli 10 secondi dell'opener "Lonely Woman" che dovetti premere stop. "Cosa era quel contrabbasso?" Rimasi conquistato come il giudice che sceglie l'amica che è venuta solo ad accompagnare ad una qualsiasi selezione. Fulminato da un attimo di attenzione. Riascoltai quell'intro più volte, "è lui" pensai, "sarà lui ad accompagnarmi in questa avventura". Di lì a breve mi ritrovai subito davanti il suo primo lavoro da leader, a discapito del buon Ornette che comunque ruberà del mio tempo in futuro.

Un balzo lungo dieci anni ('69) mi permette di ascoltare "Liberation Music orchestra", e mi colpisce subito perchè non si tratta di una forma di egocentrismo solista, ma si tratta di talento e tecnica messi al servizio di un forte ideale. Non ci sono sentimenti privati di Haden, ma rivoluzioni ed assalti musicali con sapore latino mascherati da manifesto di protesta contro l'America repubblicana di Nixon e delle spedizioni in Vietnam. Un disco metaforicamente perfetto. Pezzi come "El Quinto Regimiento" e "Song For Che", grazie anche all'ottimo arrangiamento di Carla Bley, riescono a suonare incazzati e tremendamente motivati, anche di fronte ad orecchie poco allenate col jazz come le mie, che per assurdo (ma anche per capacitare di legare simili ideali ad una feroce sperimentazione) mi fanno accostare questo collettivo al più recente Godspeed You! Black Emperor.

Siamo nel '10, sono cambiate tante cose ma non è cambiato niente, e c'è sempre più bisogno di Liberation Music Orchestra.

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