Quanto tempo è passato da quando recensii "5:55" su Debaser per la prima volta?
Un anno? Dieci mesi? Cinque mesi e cinquantacinque giorni? E chi lo sa. Non torno indietro alle mie recensioni a vedere la data corretta, per lasciare quell'alone di mistero che aleggia su un passato lontano e poco coerente. Perchè ho dubitato di te, Charlotte? Perchè?
Ho ripreso il tuo album dalla mia discoteca, l'ho spolverato e ho sorriso. Ricordavo quanto il tuo disco fosse "francese", "Air", "electro-chic"...così poco "Charlotte" da lasciarmi l'amaro in bocca. Ma ho fatto finta di niente, ho dimenticato la mia delusione e ho rimesso "5:55" nel lettore, sfogliando il libretto, perdendomi tra le liriche maligne che accompagnavano quei cerchi sonori scritti nell'aria.
Alle sei del mattino è partita "5:55", coccolandomi in un dormiveglia affascinante quanto poetico. Una canzone impregnata di un mood quasi alieno, di un ritmo ipnotico, che permea nella pelle. La potremmo chiamare elettronica del cuore: semplice, spigolosa, ma allo stesso tempo raffinata ed emozionale.
"Five fifty five.
Five fifty five.
No Sleep Tonight.
Five fifty five".
Pop psichedelico con sterzate à la Air, french-touch shekerato con uno charme a dir poco femminile. Fascino che pullula nella seguente, inquietante, "AF607105": lampi di "Lemon Incest" su solchi di tastiere paradisiache che volteggiano attorno ad un ritmo dolce, ma ossessivo e, in toni docili, isterico. Già alla seconda traccia, quel disco che avevo reputato una mezza delusione, mi appare come una grande rivelazione. Rivelazione che si conferma con una magnifica "The Operation", un'autopsia sonora destinata a marcare il confine tra "amore" e "scienza": più svelta e incisiva delle due canzoni precedenti, più efficace, sorretta da un basso penetrante come un bisturi nel cervello. Charlotte miagola, sussurra, ammalia. Ti entra nelle vene e ti succhia il sangue.
E così via per tutto questo trip sonoro. Finchè non mi risveglio un po', carico di euforia, sul pop disimpegnato e seducente di una "The Songs That We Sing". Volteggio a piedi nudi in una stanza ascettica, librandomi tra carillon e glockenspiel.
"I saw a photograph.
A woman in a bath of hundred dollar bills.
If the cold doesn't kill her, money will".
E poi. Il primo amore: la straordinaria "Beauty Mark": un'ode ad un neo che diventa inno. Perso nel mio limbo di coperte comincio a sussurrare a squarciagola (e sottolineo l'ossimoro) I'LL KEEP IT FOR YOUUUUUUUU, finendo di colpo nelle fascinose introspezioni pop di una "Little Monsters" che ravviva le cose con eleganza. Mi autoschiaffeggia, chiedendo perdono a quella musa francese che mi abbagliò con il suo corpo ignudo nella litania "Antichrist". Una donna che riesce a sedurre con un nonnulla, pur non essendo bella, pur non facendo parte di quei fastidiosi topos che fanno parte della vita di tutti i giorni.
E' arrivata, poi, la straordinaria "Everything I Cannot See", rock acustico a tratti incazzato, a tratti sognante, sostenuto da un pianoforte che, ancora una volta, illumina il tutto con un bacio che sa di jazzato. A chiudere il cerchio, come un sigillo l'elegiaca "Morning Song", impalpabile e priva di ritmo, eppure bellissima. Fottutamente bellissima.
Sì, ora sono felice.
Sono riuscito a ritrovare la retta via. Probabilmente la riperderò, ridefinendo questo grande disco una delusione.
Ma si sa: fumo margherite in campi di girasole e tutto può essere possibile con il sottoscritto.
Ciò che è certo, è che "5:55" è diventato uno dei dischi che più ascolto in questi giorni.
Buon anno :)
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