Proprio quando avevo rirecuperato nella mia discoteca (e iniziato ad amare alla follia) "5:55", ecco che questa mademoiselle française realizza questo "IRM", su cui puntualmente pongo le mie mani, in preda ad una feroce ed impressionante fame di musica. Avevo già ascoltato il singolo apripista, la title-track, che presentava una ritmica aliena e destabilizzante, sbilenca, una voce febbrile e tremendamente a suo agio: insomma, l'esatto contrario di quelle canzoni di raffinata perfezione che componevano il moonsafarista "5:55": una grandissima canzone, ma spiazzante per tutti coloro che si erano persi nelle viscere di quei pianoforti dolci, sensuali, carezzevoli.

Eppure. Miei cari "5:55 addicted", Charlotte ha smesso di miagolare. La rampolla Gainsbourg non si è fatta più abbindolare dalla psichedelia lunare degli Air, confezionando quello che si può definire "a weird dream" (=dall'inglese, definizione personalmente coniata da me nel linguaggio comune dicasi "sogno assolutamente privo di senso, illogico, ma così weird da risultare affascinante). Come ogni artista che si rispetti, Charlotte ha cambiato le carte in tavola e ha realizzato un'opera eterogenea, ma incredibilmente compatta, spaziando in molteplici chiavi di volta.


Che siano le ritmiche folk spettrali  di una straordinaria "Master's Hand" posta in apertura: tesa, seducente, veloce e lesta o i violini che accarezzano un'aglida voce lunare di una struggente "Vanities" sospesa tra cielo e terra, Charlotte (aiutata da un Beck completamente ispirato e schizzoide) appassiona e canta brani potenti, schietti; melodie sbilenche, oblique; pezzi corti, spesso cortissimi (quasi sempre sui due minuti) , ma destinati a rimanere impressi da quanto si rivelano efficaci.

Che dire poi di una ballata come la bellissima "Le Chat Du Café Des Artistes"? Il brano in questione è una cover di un classico del pop francese, ma è rivisitato in modo così ipnotico e sensuale da far impazzire: batteria ossessiva, ritmi caldi e fluorescenti, archi che si librano in aria e si estendono fino a toccare il cuore e l'ugola di una Gainsbourg rilassata e appassionante; o dell'ipnotica "Dandelion": uno splendido lento rock graffiante e raffinato, sostenuto da un intrigante basso, da una batteria appena percettibile e da archi che si intrufolano con malizia.

Ma l'eterogeneo sperimentare di Charlotte è evidente anche negli altri pezzi, tutti interessanti, altri sensazionali: dalla nenia della buona notte "In The End", eterea, brevissima e acustica, alla beatlesiana "Heaven Can Wait", passando per il sensazionale, scanzonato folk-country di "Me And Jane Doe", per il ruvido blues rullante di una feroce "Trick Pony", per il punk electrowave di un'inspiegabile "Greenwich Mean Time", per il meticoloso blues elettronico di "Goodlooking Glass Blues" e per il pop adulto di una "Time Of The Assassins" orecchiabile quanto ottima. 

Ma i grandissimi capolavori sono due: rispettivamente "Voyage" e "La Collectioneuse". Il primo è uno straordinario, illogico e sconclusionato pezzo che fonde in un unico ensemble violini, danze folk-balistiche, elettronica impazzita e archi imponenti, il secondo è l'apice del disco: un magnifico trip hop affascinante e spezzato, costruito su giri di pianoforti e archi che volteggiano per la stanza, lasciando stecchiti. Due capolavori in tutto e per tutto, sintomo di un'arte che fa breccia nel cuore di una delle donne più poliedriche e fascinose in circolazione. 

Un disco eccellente, senza dubbio uno dei più spiazzanti che abbia ascoltato in questo mese, e sicuramente tra i tre più belli e affascinanti. Un pot-pourri di sensazioni da analizzare.

Charlotte è entrata nel mio cuore.

La mia Citron Incesteuse.

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