Se dovessimo fare un elenco di tutti quegli artisti che noi, sapendoli confinati in una nicchia per pochi ascoltatori, riterremmo meritevoli di un successo di portata ben maggiore di quello che invece riescono a ottenere, probabilmente non finiremmo mai, dato l'elevatissimo numero di gente che, pur priva di qualsivoglia talento artistico, vende milioni di copie a discapito di un'altrettanto numerosa schiera di persone infinitamente più dotate dal punto di vista musicale.

Ebbene, in cima alla mia lista sta proprio la bellissima (la copertina dell'album qui recensito non le rende per niente giustizia) cantautrice e pianista americana Charlotte Martin, praticamente sconosciuta oltre i confini della madrepatria, dove peraltro ha un seguito tutt'altro che folto, pur avendo all'attivo ben nove studio-album e otto EP. La cosa di per sé non è strana, dato che, come già detto, la quantità di artisti che cercano di emergere è decisamente sconfinata, ma si fa assolutamente incomprensibile quando ci si rende conto della qualità della musica che la ragazza propone: intendiamoci, le sue composizioni sono ben lontane dall'essere innovative o rivoluzionarie, ma la sua abilità nel tessere al piano melodie pop incredibilmente evocative e oniriche passa tutt'altro che inosservata. Colpisce poi il fatto che tale qualità sia sorprendentemente costante e ben distribuita lungo tutti i suoi dischi e quest'ultimo "Water Breaks Stone" non fa eccezione.

Lasciatasi alle spalle i suoni ancestrali e selvatici che caratterizzavano il precedente "Dancing on Needles", Charlotte si avventura in nuovi territori abbracciando un'atmosfera più elettronica e cybernetica, in parte suggerita dalla copertina, senza però snaturare la sua impronta onirica nella composizione e nella scrittura dei pezzi. Durante l'ascolto si passa così dai sapori sintetici di "Science and Love" ai ritmi incalzanti di "Spine" e "Not a Sure Thing", curioso quanto riuscito esperimento synth-lounge, per poi approdare ai lidi elettronici della title-track e dell'evocativa "Where the Soul Never Dies". Dove però la ragazza dà il meglio di sé è nella costruzione di pezzi che, secondo dopo secondo, crescono sempre di più fino a diventare solenni e imperiosi concentrati di beat e archi, che raggiungono picchi elevatissimi nella maestosa "Battle Cry" e nelle struggenti "Gravity" e "12 Years", probabilmente le tre migliori canzoni del lotto. Altrettanto degne di nota sono però anche le composizioni più semplici, come le conclusive "When the Sun Finds Me" e "Fearfully and Wonderfully Made", ballate piano-voce in cui emerge prorompente la bellezza e la dolcezza dell'ugola fatata della Martin, a mio parere una delle voci più belle attualmente in circolazione.

Insomma, "Water Breaks Stone" è l'ennesima gemma prodotta da quella che è probabilmente l'artista più sottovalutata degli ultimi anni e che, a mio parere, merita assolutamente di essere ascoltata, soprattutto considerando il fatto che, in un periodo in cui Tori Amos ha perso lo smalto degli esordi, Charlotte Martin va riempire il vuoto da questa lasciato (e, almeno dalla parte più spensierata, in parte colmato da Regina Spektor), collocandosi come nuova musa del piano-pop e come autrice di alcune tra le composizioni più solide e riuscite che siano state prodotte in questo genere da diversi anni a questa parte.

Voto: 4,5

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