Se Lennon e McCartney non avessero divorziato nel 1971 decidendo piuttosto, per tagliare la testa al toro e cavalcare l’andazzo di quei tempi, di mandar via gli ottimi Ringo e George ed assoldare al loro posto due rocchettari devastanti tipo, chessò… Carmine Appice alla batteria e Jim McCarty alla chitarra, contemporaneamente prendendo a urlare nei microfoni (e lo sapevano fare… tipo in “Helter Skelter” o “Twist and Shout”), ebbene sarebbe venuta fuori la musica dei Cheap Trick.

Così non è stato, gli effettivi Cheap Trick sono sbucati dall’Illinois ad anni settanta inoltrati, intanto che Lennon faceva musica sporadicamente e McCartney al contrario ne buttava fuori anche troppa. I Cheap perciò come dei Beatles che urlano per cantare e che pestano per suonare… L’effetto è sempre stato gradevole e trascinante, irresistibile negli anni di grande ispirazione compositiva, quanto meno sufficiente nei periodi di scarsa vena.

Comunque sono ancora vivi e vegeti dopo mezzo secolo, vanno avanti e pubblicano nuova musica a buon ritmo e questo fa loro onore. Quest’album che è del 2016 viaggia benone… niente di epocale ma nulla di sbagliato. Vi è un potente inizio con l’incalzante “Heart on the Line”… Zander sommo vocalist di hard rock, l’iper prodotta “No Direction Home”, la lirica “”When I Wake Up Tomorrow”, che conferma il giovane Nielsen ottimo sostituto del vecchio batterista/tabaccaio, tornato al negozio.

Il figlio del chitarrista pesta a sangue alla Bonham anche in “Do You Believe Me?”, gustosamente grezza e caotica. “Blood Red Lips” è il solito rock’n’roll alla Cheap Trick però… che suoni le chitarrone di Nielsen padre! Esse riverberano bene anche nella ballata hard+Beatles “Sing My Blues Away”, vero marchio di fabbrica grazie alla voce terribilmente Lennoniana, ma con rinforzo sul cavallo, del biondo frontman Robin.

Roll Me” offre le tipiche discese cromatiche del basso a molte corde di Petersson, colui che malgrado il cognome non è biondo, bensì bruno. “The in Crowd” è trascurabile, non così “Long Time No See Ya” che parte con un’ingannevole sequenza di synth, subito divorata da un funky hard alla Zeppelin nel quale Zander mostra nuovamente di avere, a sessant’anni, la stessa voce che a venti, non come il sommo Plant.

Il basso melodico e cazzuto dello svedese bruno è di nuovo prominente in “The Sun Never Sets”, urlata di brutto, spessa, tosta, giocata su drammatici e sospesi toni minori, grandi cori, poderose rullate. Al termine della quasi dozzina di brani la vagamente new wave “All Strung Out” diversifica il tutto, col suo canto quasi parlato.

It’s only rock’n’roll, come sempre per loro. E’ bello sentirli ancora così in tiro, bombardoni, semplici ma intelligenti, anzianotti ma vigorosi. Non hanno più i colpi di genio melodici di gioventù ma la voglia, l’energia e la plausibilità vi sono ancora tutte.

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