E’ il vespero che accompagna l’arrivo rabbioso e carico di questo lavoro, ortodosso quanto defecare in classe durante l’ora di geometria. La paura e la voglia di imbrattare la lavagna dei sogni, sono i sensi svegliati dal suo ascolto. Un ascolto che può affascinare o tediare fino alla morte e tutto già dai suoi primi secondi. Tanto basta per rendersi conto di trovarsi al cospetto dell’umore viscerale della musica malata, creata da questo duo nipponico.
Come ad un bimbo a cui sia stata negata la fanciullezza a questa musica è stata brutalmente negata la melodia. La deprivazione è il senso dello scorrere di note che normalmente non andrebbero accostate. E il senso di ritmi duri e tesi, sospesi sulla lama del malessere, con un filo così sottile da non apparire se non per brevi lampi di controluce. E’ il senso di un sax che naviga controcorrente a tutto, persino a se stesso. E’, infine, il senso di una chitarra inacidita da intrecci furenti, metallici.
Ed è thrash, math, RIO, jazz, psichedelia e space, avanguardia spudorata e interminabile.
Acido blues contorto tra false pentatoniche e tempi dispari, r’n’r dal sapore dello yogurt andato a male, amalgamati in un programming dall’aria spesso scanzonata sul quale chitarra e sax ruotano a mo’ di giostra di cavalli, ma nella quale i cavalli siano stati sostituiti dai mostri interiori creati delle anime spudorate di Kishimoto Junichi e di Sugawara Shin che in “Crazy Go-Round” riescono a stravolgere proprio il tema della giostra, dirottandolo in un valzer che riesce ad accedere ai gradini più prossimi alla genialità.
Tra le danze impossibili proposte, si attorcigliano strane visioni distratte, dilatate, distorte e spersonalizzate di origine zappiana, crimsoniana, zorniana mentre abbracciano corpi solidi di zeuhliana ripetitività.
Spettacolare la proposta di “Gestalt Collapse part 1 e part 2” che fa propria una strada di sperimentalismo e di improvvisazione frippiana e floydiana magicamente fusa in un crescendo di tensioni e furenti passaggi. O quella dall’andazzo robotico, urbano e nevrastenico di “Iron Man” che sembra registrata sovrapponendo suoni captati al di là di un muro. Si torna ancora a temi frippiani con “5th Drive #2” costrutta su un tempo dispari che sconvolge sul quale la chitarra raspa cattiva e aggressiva, smitragliando note in rapido susseguirsi.
Mano a mano che il disco va avanti e i nove brani si vanno esaurendo ci si rende conto di quanto importante, personale e unica sia la miscela esplosiva generata da questi folli Cherno.
Almeno un ascolto è dovuto, ma attenzione che potreste innamorarvi rapidamente.
Sioulette.
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