"Chet aveva la cupa sensazione che ogni volta in cui suonava sarebbe potuta essere l'ultima, me lo confessó in varie occasioni. Qualunque fosse la ragione, comunque, é stato fantastico, spettacolare. Sarebbe stata una notte incredibile, me lo sentivo. Ho suonato con Chet in molti club nel corso degli anni, in Europa e negli Stati Uniti, ma quella notte in particolare mi sembró molto diversa. Era come se Chet stesse andando a fuoco... Burnin' at Backstreet!"
Il batterista Art Frank ricorda cosí il concerto selvaggio in cui la tromba di Chet Baker divenne rovente. Per una notte infatti, sotto una frustata di note, il Backstreet Club di New Haven divenne teatro di una delle piú spietate battaglie personali di Chet Baker contro quel che rimaneva di se stesso. Non é il solito Baker quello che sale sul palco il 19 Febbraio del 1980, i toni del discorso stavolta sono drasticamente cambiati. In "Burnin' At Backstreet" non c'é traccia del melodico esteta della malinconia, inutile cercarlo. E' una notte di rabbia e sfoghi, auto annullamento e consecutiva depersonalizzazione artistica. Accanito, violento, irrequieto ai limiti dell'inverosimile, per una notte Chet é un uomo inclemente. Incanala un inesauribile vortice di respiro tra le meccaniche della sua tromba, come in un soffio apocalittico destinato ad alimentare un rogo che di umano conserva solo il rancore. Che vadano pure a fuoco la fame e i furti dei giorni peggiori, brucino la siringa, le dosi, il laccio emostatico, il metadone. A fuoco il passato, l'eroina, le trombe date in pegno e quelle rubate. Bruci il Chet Baker angelico, bruci nella sua giovinezza il ragazzo immagine, il James Dean del Jazz. Al diavolo i dolori, le donne, gli arresti, gli scandali, le botte. Potesse tutto scomparire per sempre, ogni cosa dimenticata, andata, finita: cenere. Come in una lotta selvaggia, combattuta pubblicamente, pare che il Baker presente voglia in una sola notte annullare e umiliare il Baker passato (non é contemplabile un Baker futuro). Non c'é tregua e non c'é riposo nel rimuginio dell'artista e di rimando non c'é pietá nelle interminabili raffiche che si concretizzano rabbiose durante gli assoli. Sono brani infiniti. Quindici minuti, tredici minuti, diciassette minuti: la durata e l'ordine strutturale di un brano o di un assolo non hanno piú valore né ragione di esistere. Tutto é destabilizzato, ogni porta viene scardinata e il tempo stesso non é niente se non l'ennesima vittima di un'interminabile notte di perdono negato. Come in un devastato processo di eliminazione ogni forma viene rinnegata, ogni orpello bandito, qualsiasi attenzione estetica ridotta in polvere. C'é spazio solo per il contenuto nudo e crudo. I brani sono solo il palcoscenico ardente usurpato da un'urgenza espressiva irrefrenabile che non comprende niente di rifinito, niente di pulito. Il modo in cui i musicisti attaccanno i brani é violento, sporco e oltraggioso, il tema portante di ogni brano viene masticato rapidamente e subito gettato via per permettere al quartetto di buttarsi a rotta di collo negli assoli. I monologhi musicali di Baker sono meravigliosamente scoretti nella durata e nell'arroganza. Colpiscono e destabilizzano come non mai la sua inventiva, i continui rilanci e i cambi di tempo. Baker non era mai stato cosí incisivo e veloce, il suo timbro é piú secco e affilato che mai. Sono assoli infiniti, senza respiro, che si autoalimentano e si affrontano vicendevolmente. Baker riesce a trascinare l'intero gruppo nel suo inferno personale e di conseguenza il piano di Drew Salperto riesce incredibilmente a brillare di luce propria incattivendosi con altrettanta violenza. Mentre ci si perde nella scia tracciata dai colpi duri e secchi di Salperto sulla tastiera sembra impossibile pensare che la batteria e il contrabbasso (rispettivamente Art Frank e Mike Formanek) possano trovare la loro ragione di esistere. Invece accade: nel disordine caotico di quella notte rabbiosa il contrabbasso e la batteria riescono ad adornare impeccabilmente l'inarrestabile flusso emozionale che domina la serata. Il risultato é un live forte, drastico e atipico per il suo approccio istintivo e selvaggio nei confronti della musica e dello spirito. Dopo aver rivoltato e portato agli estremi i brani di Miles Davis e Dizzy Gillespie, a fine concerto Baker ha ancora la forza di cantare, con un filo di voce, quasi inudibie. Chiude la serata con voce esausta e dannatamente debole, risultato di un irripetibile ed estenuante tour de force musicale e umano. Il 19 Febbraio del 1980, al Backstreet Club di New Haven, Chet Baker ha preso fuoco, ma non é mai stato in grado di rinascere dalle proprie ceneri. Dietro l'angolo infatti c'é sempre una prossima dose e il futuro non é altro che una lenta e impietosa caduta sotto i cieli di Amsterdam.
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