Alla fine degli anni ottanta Corea sente il bisogno di esprimersi non solo attraverso il quintetto elettrico (l'Elektric Band), ma ricorrendo a quella che, osservando la sua discografia, appare sicuramente come una delle sue formazioni più congeniali ovvero il classico trio jazz: pianoforte, contrabbasso, batteria. In quel periodo, la sua partnership con Patitucci al contrabbasso e Weckl alla batteria doveva essere di grande ispirazione per lui, tanto da condurlo a concepire un ensemble parallelo all'Elektric Band che denominò Akoustic Band.

Si tratta di un progetto in trio acustico (ovvero con strumentazione non amplificata) che nasce con l'intento di rivisitare standards del mainstream jazzistico e composizioni originali di Corea. Al repertorio degli standards viene data una rispolverata con grandissima freschezza: l'intero album è caratterizzato da belle invenzioni melodiche sia da parte di Corea che di Patitucci e l'interplay fra i tre musicisti fa pensare a una comunicazione che ha del telepatico: è stupefacente ascoltare come questi tre "mostri" riescano ad elaborare con la massima scioltezza strutture ritmiche di notevole godibilità e come al contempo sappiano muoversi parallelamente sviluppando idee di grande impatto su canovacci musicali relativamente semplici.

Da notare come questo favoloso interplay riesca a creare un sound di insieme del trio che genera l'impressione di trovarsi di fronte più a una serie di performance per trio come unica entità, piuttosto che a performance di pianoforte addizionato di ritmica, come spesso capita altrove. Un album che merita di essere non semplicemente ascoltato, ma gustato e centelinato: un jazz entusiasmante che si muove entro coordinate molto estese, come è nella tradizione del Corea più genuino, prendendo solo spunto dal mainstream per abbandonarsi alle contaminazioni latino-americane, classicheggianti e spagnoleggianti. Capolavoro imperdibile.

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