Nella sua ricca discografia Corea ha sempre cercato, seguendo vari percorsi, di creare una sorta di fusione di stili senza preoccuparsi troppo di quanto i suoi detrattori più accaniti potessero pensare del suo istrionismo e delle sue "aperture" verso generi lontani dal jazz.
La lunga carriera di Corea è tappezzata di moltissimi episodi che dimostrano chiaramente quali siano da sempre stati i suoi intenti più genuini: il pianista italo-americano continua anche oggi a divertirsi e ad esaltarsi abbattendo le barriere degli stili e non accontentandosi di restare irreggimentato all'interno del mainstream jazzistico. Corea preferisce di gran lunga muoversi in contesti musicali di tipo fusion/cross-over, fregandosene altamente del fatto che i puristi possano storcere la bocca.
In "Three Quartets" il pianista cerca di imbrigliare gli elementi fondamentali del jazz, ovvero la matrice danzante (il "movimento") e l'improvvisazione, nell'ambito delle strutture tipiche della musica classica. All'interno della sua discografia esistono altri tentativi mossi dal medesimo intento, ma a me piace particolarmente "Three Quartets" poiché lo trovo estremamente stimolante e freschissimo. In altri termini, ascoltato oggi, "Three Quartets" non ha perso nulla del fascino e della freschezza che possedeva quando è stato concepito da Corea nei primi anni ottanta. Questo fatto di per sé sarebbe già sufficiente a collocarlo fra i miei album preferiti di sempre poiché il tempo di sopravvivenza agli ascolti, a mio avviso, è proprio la variabile fondamentale che può permettere l'emissione del verdetto finale se ci si trova di fronte a un capolavoro oppure a un'opera di cui si poteva anche fare a meno.
Nel quartetto originale troviamo, a fianco di Corea, Eddie Gomez al contrabbasso, Steve Gadd alla batteria e Michael Brecker al sax. Inutile spendere parole sul valore di questi quattro giganti della musica contemporanea; inviterei invece a considerare il valore intrinseco delle composizioni, al di là del valore aggiunto apportato dalle interpretazioni di questi grandi musicisti. Si può certamente dire che i tre quartetti hanno giocato un ruolo centrale nello sviluppo dello stile e della poetica di Corea, solo considerando il fatto che le tre composizioni che in forma di suite costituiscono i "Three Quartets" sono state riprese da Corea in varie occasioni e con formazioni differenti da quella originale.
Io stesso ho avuto la fortuna di apprezzare lo stesso programma dal vivo in un concerto in cui al posto di Michael Brecker c'era Bob Berg e anche durante un concerto della Chick Corea Akoustic Band (con John Patitucci al contrabbasso e Dave Weckl alla batteria) quando era ancora ai suoi esordi.
Concludendo, mi sento di raccomandare caldamente questo album e se vi piace quanto è piaciuto a me non perdetevi anche la versione in DVD contenente "Three Quartets" eseguito dal vivo in concerto dalla stessa formazione originale, ma quasi trent'anni più tardi, presente nel cofanetto "Rendez Vous in New York", che contiene anche molto altro materiale assai interessante di Corea (e di cui magari avremo modo di parlare altrove).
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