Inizialmente ho storto un po' il naso di fronte alla scelta di mantenere con una certa costanza la presenza di una voce narrante. Per due motivi: da una parte perché il personaggio che narra è l'agente della DEA Murphy, con un punto di vista non particolarmente interessante; dall'altra perché una voce narrante molto invasiva rischia di appiattire e rendere troppo facile la comprensione delle vicende. Progredendo nella visione degli episodi ho parzialmente modificato il mio giudizio: la chiave di lettura di Murphy si modifica man mano che l'agente diventa sempre più cinico e disposto a usare la violenza. Inoltre, la voce narrante si fa sempre meno invadente, tornando solo nei momenti adatti, quando è necessario riassumere o spiegare.
Si tratta in fin dei conti di una scelta narrativa di fondo; si può puntare alla chiarezza, oppure all'intrigo. Vista tuttavia la tipologia della vicenda, storicamente attestata e ben conosciuta, risulta sensato puntare sulla limpidezza per approfondire e spiegare bene le questioni, invece di tentare un effetto sorpresa che sarebbe stato comunque impossibile già in partenza, a meno di spettatori totalmente ignari delle vicende di Escobar.
Veniamo a lui, il grande giganteggiante monstrum della serie: Pablo Escobar è impersonato con talento da Wagner Moura. La recitazione è appassionata, carica senza risultare eccessiva o affettata; il timbro vocale è rauco, la camminata affaticata dal sovrappeso. Insomma, a Moura non si può rimproverare proprio niente. L'unico problema del personaggio non è dato da una sua colpa: nel suo sguardo manca quel pizzico di carisma malvagio che ad esempio si vede in uno spezzone di filmato d'archivio presente nella sigla, quando compare il vero Escobar.
La volontà di replicare in modo mimetico le fattezze e gli atteggiamenti del celebre narcotrafficante è emblema di uno stile quasi documentario: ad esempio anche l'attore che impersona Murphy, Boyd Holbrook, è molto simile al vero agente Murphy che compare nella sigla (bellissima tra l'altro la canzone). Si aggiungano poi le diverse sequenze di repertorio che compaiono qua e là durante gli episodi, per rinsaldare il rapporto di stretta vicinanza con i fatti reali. E poi Horacio Carrillo, basato comunque sul profilo del Colonnello Hugo Martinez. Tutto ciò che compare in Narcos sembra affondare le radici nei reali fatti storici. Questo tuttavia non toglie credibilità al traslato televisivo; la versione fiction ha la sua credibilità e coerenza interna, anche a prescindere dalla veridicità storica dei contenuti.
I personaggi sono parecchi: alcuni funzionano bene, come quell'agente Peña impersonato dal noto Pedro Pascal, o il presidente César Gaviria, magnificamente rappresentato nelle sue indecisioni politiche dal bravo Raúl Méndez. I vari criminali del cartello di Medellìn sono caratterizzati quel tanto che basta; sono personaggi secondari ma rimangono comunque ben in mente grazie a tratti peculiari che spiccano ed anche al fatto che la voce narrante ripete non poche volte i loro nomi. Alcuni attori non convincono: su tutti quelli che interpretano Tata Escobar e Pacho Herrera, ma sono ruoli minori. Nel complesso il cast vasto è davvero ben gestito.
Tra i pregi della serie va certamente annoverata la scelta di far parlare i personaggi nella vera lingua parlata in Colomba, lo spagnolo. Ma non è solo questo: ci sono anche parecchi momenti di code switching, ad esempio dell'agente Murphy, oppure varie dinamiche basate sulle incomprensioni date dalla lingua, o ancora richieste di traduzione da parte dei personaggi anglofoni. Insomma, la «questione della lingua» è un tema che torna spesso e in modo interessante; tornano alla mente le splendide dinamiche linguistiche di Bastardi senza gloria, con le dovute proporzioni ovviamente.
La serie è molto solida ma è afflitta anche da un paio di difetti che le impediscono di affermarsi allo stesso livello di altri prodotti seriali. A tratti si evidenziano delle scelte low cost, soprattutto nelle sequenze d'azione o di violenza, che stonano non poco rispetto alla qualità alta della narrazione. Penso ad esempio all'irruzione delle forze speciali nella Catedral di Escobar; l'unico momento di una certa levatura in questo senso è l'inseguimento duplice di Peña e Murphy nei confronti di due narcotrafficanti, con un buon uso della cinepresa su carrello Dolly.
In ultimo, il difetto che fa più rammaricare è forse l'incapacità di individuare un vero protagonista in cui lo spettatore si possa immedesimare. Sarebbe Murphy, ma è evidente che Escobar lo mette decisamente in ombra. Ma allo stesso tempo Pablo non può essere il vero protagonista perché ha troppe caratteristiche del villain. Tutto sommato questo non è necessariamente un difetto, può essere anche visto come un tratto di modernità. Ma si sa, le grandi storie spesso hanno bisogno di grandissimi protagonisti. E Pablo Emilio Escobar è troppo ripugnante per esserlo. In questo senso, il male in Narcos non è per niente affascinante, come invece poteva esserlo in Breaking Bad; ma stiamo parlando di ben altri livelli.
7/10
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