Chris Carter torna con un nuovo album solista, il primo in 17 anni, ma in tutto questo tempo il musicista e produttore, membro chiave dei Throbbing Gristle, non è mai stato lontano dalle scene ed ha sempre realizzato album di gran qualità, in compagnia di Cosey Fanny Tutti, pubblicati con divdesi aliasi, da Carter Tutti a Chris & Cosey, oltre a diverse altre collaborazioni, nella scena sperimentale ed elettronica. L'artista inglese ha sempre rappresentato l'anima più musicale dei progetti in cui era coinvolto, e se Genesis P-Orridge era il distruttore o lo sciamano, e Cosey spigeva la sua provocazione spesso sull'aspetto sessuale, Carter era invece l'anima musicale, lo sperimentatore sonoro, e colui che ha sempre lavorato anche sulla realizzazione di strumenti e suoni. Recentemente ha progettato anche un modulo Eurorack, The Gristleizer, un synth analogico con più filtri basato su uno schema di elettronica DIY usato per la strumentazione dei Throbbing Gristle.

Queste” lezioni di chimica” sono invece collegate strettamente all'ultima parte della carriera di Chris Carter, ma meno retrò ed anni 80 rispetto a Carter Void Tutti, giusto per fare un esempio, più incentrate sulla composizione, con radici nell'avanguardia e nell'ambient di Brian Eno. Il lavoro è ricco, oltre 25 tracce in cui il suono è sempre l'elemento centrale, con un uso attento di filtri ed arpeggiatori come in “Blisters” o “Nineteen 7” che riportano alla mente le sonorità del mai dimenticato Drexciya anche se qui la battuta è più bassa e non ci sono intenzioni dance. In “Cernubicua” troviamo poi una voce all'apparenza femminile, filtrata e trattata come se fosse quella di Karin Dreijer Andersson dei The Knife ma solamente leggendo i credit scopriamo che si tratta di un assemblaggio in studio tra la voce di Chris Carter e quella dello scomparso Peter “Sleazy” Christopherson, membro storico di Throbbing Gristle e Psychic Tv.

L'album prosegue con un approccio sempre diretto ed istintivo, raramente i brani durano più di tre minuti, come a volere concentrare le idee o semplicemente lasciarle al loro stato primordiale, senza esagerare in fase di produzione. L'impressione è quella di brani realizzati anche con l'intento di diventare colonne sonore, come “Field Depth”, dove tutto è giocato in funzione di un crescendo, come per accompagnare un'azione o un movimento della macchina da presa. Questa scelta produttiva però non va a danneggiare il valore di questo disco e se è vero che nelle produzioni cinematografiche di oggi possiamo trovare diversi brani del genere, pochi hanno quella cura nei dettagli microscopici, nello sviluppo ritmico e melodico, e non ultimo, nell'utilizzo di suoni originali, che non provengano dalle solite library di campioni orchestrali in commercio.

“Chris Carter’s Chemistry Lessons Volume One” è prima di tutto un album di synth, per chi ama gli strumenti e li conosce anche nel loro funzionamento ma anche per chiunque ami questo genere di sonorità, dalle colonne sonore ai classici della "kosmische musik" come i Tangerine Dream, un disco che sa di analogico ma non vintage, perché Carter porta ancora avanti in parallelo ricerca artistica e costruzione del suono.

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