«Donnie aveva una sorella».
Avevo già pronte due alternative di risposta, a seconda dell'umore: «Salutamela» e «Sti c*zzi». Col senno di poi, entrambe validissime.
Personalmente non ho nulla contro la bella Daveigh Chase/Samantha Darko, che all'epoca del primo film impersonava un'innocente fanciulla che sognava di diventare una ballerina. Quello che mi puzzava di bidone (dato alle fiamme) fin dalla prima messa in onda del trailer, era il fatto che si girasse un sequel a sette anni di distanza dal precedente, per di più diretto da un regista diverso. Ennesima prova di come i produttori siano capaci di snaturare la loro "arte" non appena fiutino il successo al botteghino (sarà che è proprio questo il loro mestiere?).
Non è detto che in qualche caso non possa venir fuori un prodotto comunque dignitoso, seppur inferiore al precedente, ma credo che certe storie sullo schermo debbano finire quando scorrono i titoli di coda, senza lasciare che qualcuno si conceda il lusso di prevedere arzigogolati prosiegui studiati a tavolino solo per giocare con la curiosità morbosa dello spettatore. Del mio stesso avviso, a quanto pare, sembra essere Richard Kelly, regista di "Donnie Darko", che ha rifiutato categoricamente l'idea di girare un sequel proprio perché la storia da lui creata sarebbe stata oltremodo forzata.
Tuttavia, alla fine mi decido a liberarmi del pregiudizio e mi abbandono alla morbosità di chi ha amato un film ed ora vuole a tutti i costi vedere dove si andrà a parare con il seguito. E una volta calato (definitivamente, si spera) il sipario sulle allucinanti vicende della famiglia Darko, tra lo sbigottimento generale dei presenti in sala, penso, capovolgendo una frase di Donnie, che c'è stato davvero ben poco da contemplare avidamente.
Se in "Donnie Darko", malgrado la complessità della trama, per certi versi geniale, e le diverse sfumature interpretative, alla fine i nodi vengono al pettine, con "S. Darko" si assiste sostanzialmente a qualcosa di inutilmente cervellotico. Troppi i co-protagonisti che con le loro vicende complicano ulteriormente la trama. E, il regista Chris Fisher, che forte delle spiegazioni sui wormhole e sugli universi tangenti in "Donnie Darko" si ritrova la strada spianata, sembra quasi lanciare una sfida a Richard Kelly, giocando con i confini spazio-temporali come un bambino gioca con i tasti rewind e forward del videoregistratore, e inscenando resurrezioni, scambi di persona e visioni apocalittiche che ben poco hanno a che vedere con il predecessore di culto. Non manca una buona dose di citazionismo vario e di parallelismi con la pellicola di Kelly, a metà strada fra il clichè più ovvio e il goffo tentativo di recuperare alcuni aspetti della storia originale: dall'auto in panne nei pressi di un motel (un classico) allo scemo del paese (che ricorda vagamente quello di "Nuovo Cinema Paradiso"), fino alle figure dell'ambiguo predicatore con annessa perpetua, e dello studentello sfigato e complessato (l'unico che ricordi lontanamente Donnie). Senza dimenticare la pretestuosa ricomparsa del "coniglio", e la già vista scena del cinema. A contornare il tutto (si trattasse di una pietanza, il colesterolo sarebbe ormai alle stelle), la misteriosa scomparsa di alcuni bambini. E dulcis in fundo, Daveigh Chase, 17enne nel film, piuttosto che una Donnie al femminile, ricorda la Samara di "The Ring", guarda caso da lei stessa interpretata.
Colonna sonora a parte (Dead Can Dance, Cocteau Twins, Ed Harcourt, Catherine Wheel), film contorto, irrisolto, trascurabile. Una palese arrampicata sugli specchi.
E a voler essere pignoli, «Donnie di sorelle ne aveva due!».
Carico i commenti... con calma