Si deve alla Drag City Records la riscoperta di Chris Gantry. È stata la label di Chicago a riportare alla luce due anni fa le registrazioni del cantautore nato nel Queens, New York nel lontano 1942 e registrate a casa di Johnny Cash e June Carter ("The House Of Cash") all'inizio degli anni settanta. Più precisamente nel 1973 all'indomani del suo rilascio dal carcere, dove era finito dentro per possesso di droga.

Effettivamente Chris Gantry era il tipico ragazzo selvaggio: all'inizio degli anni sessanta sulla scia del mito della letteratura beat molla tutto e va a Nashville per ripercorrere le orme dei suoi miti da Elvis a Jerry Lee, da Johnny Cash a Gene Vincent. In verità, diciamo che più che seguire le loro orme, Chris finisce presto per stare in mezzo a loro: è il più giovane di tutti, ma entra nel giro e viene accolto tra tutti e il fatto che ad oggi, più che cinquant'anni dopo la pubblicazione della sua storica hit "Dreams of the Everyday Housewife" (Capitol, 1968), abbia scritto più di 1.000 canzoni e che molte di queste siano state registrate e interpretrate da artisti dal calibro dello stesso Johnny Cash oppure Kris Kristofferson, Sonny Curtis e Johnny Lee, oppure Glen Campbell, che interpretò proprio la hit già menzionata e che gli valse il premio come miglior songwriter della scena di Nashville nel 1968.

Comunque la sua fama non è mai decollata e pure dopo la pubblicazione dell'album registrato presso la casa di Johnny Cash e June Carter, non possiamo parlare nel suo caso di una riscoperta che gli abbia regalato ad esempio la stessa gloria che è stata giustamente restituita negli anni ai vari Bill Fay oppure Linda Perhacs. Be', questo è probabilmente dovuto alla dimensione particolare del mito di Nashville, che resta un mito e come tale fuori dal tempo, così come del resto si può dire che lo stesso Chris Gantry, di questa mitologia, è parte integrante oppure meglio, diciamo che ci sta immerso dentro fino al collo. Pure di più.

Così questo disco si chiama "Nashlantis" e non è il disco di un outsider, ma di un insider, un ragazzo che come tanti durante quegli anni ha voluto seguire un sogno sulla scia di quel mito che aveva coltivato e in cui si era calato appieno e fin dentro la sua natura più oscura. Lo stile è quello caratteristico del sound marcato Nashville. Sono undici ballads per chitarra folk e di quel genere che viene definito come "outlaw country". Il contesto è quello, le canzoni hanno una struttura essenziale, costruite chiaramente sul suono della chitarra e sulla voce che "gratta" di Chris, che qui coglie tutte le diverse sfumature del genere, dal suo aspetto più romantico a quello melanconico e poi quello più selvaggio e persino sfumature psichedeliche.

Pare che Kris Kristofferson lo consideri il più grande scrittore di canzoni che lui abbia mai conosciuto. Questo disco è bello e la cosa che più lo rende speciale è il fatto che non si tratta di una raccolta, ma di undici canzoni nuove. Non sono la dimostrazione di una tenacia oppure la pretesta di revivalismo, sono il manifesto di chi voleva diventare un stella della musica country, poi è diventato Nashville stessa.

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