Autentico fricchettone fuori tempo massimo, il grande cantante georgiano è riuscito per fortuna a far pace col fratello chitarrista Rick Robinson, resosi per qualche anno indisponibile a mediare con le sue bizzarrie ed alzate d'ingegno. Il progetto Black Crowes ha così ripreso pieno vigore e attualmente sta producendo, a scansione biennale, tellurici e bellissimi album di hard/country/soul/blues rock settantiano, ruspante e schietto.
Testimoni del periodo di scazzo fra i due brothers, prolungatosi per più di un lustro, restano tre album solisti uno del chitarrista e due del cantante. Il lavoro in questione è il secondo ed ultimo di Chris, a mio parere il più riuscito ma solo per un'incollatura, essendo anche il precedente "New Earth Mud", uscito un paio di anni prima nel 2002, una vera goduria per un fan come me.
La voce di Chris Robinson è di assoluta qualità: un ghigno potente e alto, capace di sovrastare senza sforzo la poderosa onda d'urto dei Corvi Neri, conservando pur nell'estremo sforzo di emissione l'impagabile qualità psichedelica, anarchica, romantica. Il bello è che l'assenza quasi totale in quest'opera degli abituali, rumorosissimi compagni di gruppo consente di apprezzare ancor meglio le virtù di Chris, in grado di fare un passo indietro, urlare di meno e cantare di più, estrinsecando così la propria natura più profonda di menestrello folk rock, mezzo hippy (anzi, tre quarti...), in fondo in fondo solo... prestato al frastuono hard, per via dell'innato eclettismo.
La consistenza del songwriting di Chris è di altrettanta qualità. Nostalgico rock'n'roll e attitudini melodiche, bucoliche, politiche, romantiche si fondono e si alternano nelle sue composizioni talora espanse fino ai sette, otto minuti e quindi elevate a rango di inni. E' il caso della meravigliosa "When the Cold Wind Blows at the Dark End of Night", chilometrica sin dal titolo e con atmosferici ritornelli a voce pienissima, pervasi di mistico convincimento. Stessa cosa per "Girl on the Mountain", ballatona sulfurea che procede in crescendo fino al refrain iper sonoro e lirico.
Questione di gusti, ma ritrovare alte attitudini cantautoriali insieme a quel tipo di approccio potente e deciso, da tipico frontman rocchettaro, nella stessa persona è gran cosa, ed anche abbastanza rara. Qui ci sono le aperture melodiche, ci sono le liriche intense e intimiste ma c'è anche un solidissimo interprete in grado di spiattellarle a tutta gola e col massimo della grinta!
Ad onor del vero Chris non fa tutto da solo: gli dà una bella mano il chitarrista inglese Paul Stacey, entrato poi nei ricostituiti Crowes all'indomani di quest'album. Non so a quale dei due compari vada ascritto maggiormente il merito, ma almeno la metà della dozzina di canzoni che compongono questo lavoro mi risulta bellissima! Oltre a quelle già citate svettano la solida "Like a Tumbleweed in Eden" nonché la descrittiva "If You See California", nella quale il musicista di Atlanta palesa tutto il suo strascicato accento sudista. Nel versante più rock'n'roll si distinguono l'iniziale "40 Days" e la chiusura "Sea of Love", l'unica del lotto a pagare evidente dazio ai Rolling Stones ed ancora di più ai Faces di Rod Stewart, nella classica scia stilistica di tante pagine dei Black Crowes.
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