C'era una volta, nel procelloso oceano astrale del firmamento pop, una stella che rifulgeva di luce propria; una stella che non aveva bisogno di riflettori, barlumi di strobo, variazioni cromatiche e altre scaramucce per tenersi in equilibrio - a mo' di perenne funambola - sul sottilissimo filo interdentale del music biz, dominato dalla schizzinoseria di critici e pseudo critici e contemporaneamente dal soverchiante conformismo della massa. Christina Aguilera, membro di una generazione che includeva (e include tuttora) colleghi scanzonati e marchiati a vita come Britney Spears e Justin Timberlake - eroi di un nostalgico passato a casa Disney che ora come ora parrebbe la magione più illustre per iniziati e matricole, ha ingiustamente seguito le sorti di quel ridicolo cliché sociale atto a includere nei fuoriusciti dalla casa di Topolino il crogiulo di popstar prive di talento, fabbricanti di plastica, spacciatori di melassa a domicilio, imbonitori e stregoni condannabili al patibolo o, almeno, all'Indice.

Eppure la Aguilera non si è comportata come la frivola-sexy-confusa Britney, ha evitato a tutti i costi il prosieguo di quel marchio infamante e, messasi in saccoccia i venti milioni di dischi venduti con le atmosfere ancora teenie del debutto omonimo e della hit planetaria Genie in a Bottle, ha pensato bene di plasmare creazioni pop dal sapore totalmente avulso dall'antica caramellosità adolescendiale: tentativo che ha messo al mondo Stripped, uno dei migliori album mainstream del decennio plasmato, inizialmente snobbato per l'eccessivo ardore sexy di Dirrty e poi rivalutato con la superballata Beautiful, e Back to Basics, funkissimo revival della musica jazz e del relativo costume. Tutto filò liscio sino al 2010, anno del tragico scivolone commerciale di Bionic. L'album, un fallimento tuttora incompreso, ha peraltro innescato ai danni della bella Christina un ulteriore periodo buio di figuracce, controversie, insuccessi e il vergognoso voltagabbana del pubblico traditore; memorabile è stato, tanto per citarne uno, lo pseudo scandalo al Super Bowl del 2011 durante il quale la cantante pasticciò con il sacro The Star Spangled Banner, la santa Bibbia del mondo yankee, scatenando i fischi e lo sdegno delle tribune, per non parlare delle parodie divampate online. Tuttavia, nel mentre di questo antinferno (in cui si è insinuato pure il divorzio dal marito) miss Aguilera ha cercato, parzialmente riuscendoci, di raccogliere i cocci del calo di popolarità, puntando con discreto successo al cinema con Burlesque ed entrando nel cast dei giudici del talent show The Voice.

Ora, due anni dopo Bionic, Christina Aguilera riaffila le sue unghie e, ruggente come una leonessa, tenta il riscatto e la riconquista delle charts con Lotus, il suo quinto album di inediti in lingua inglese. Lotus, concepito apposta per far reinnamorare i dissidenti ma anche per dare un corposo scossone ad un music biz quasi stagnante e logoro, mostra una cantante quasi nuova, inedita, rigenerata, rinvigorita e temprata dai fallimenti commerciali e dalle delusioni esistenziali. A primo acchitto con il photo shoot e con le immagini promozionali del disco pare di vedere un'altra persona, diversa dall'intoccabile bomba sexy mai scalfita dai tonfi e dalle cadute, una Christina quasi remissiva, languida, pura, un autentico concentrato di tenerezza e innocenza. Insomma, la Aguilera forte e rocciosa degli emancipati tempi di Stripped lascia il posto ad un esserino indifeso, dimentico di quel piedistallo di successo e potere che si era conquistato.

A livello musicale, se Bionic si era addentrato malandrinamente nell'ormai inflazionato contesto dance-elettronico, Lotus - sebbene non discostandosi particolarmente da questo orientamento - vuol fare un deciso salto di qualità, una scelta di campo che gli permetta di navigare adeguatamente nell'orecchiabilità pop modaiola senza comunque disperdersi nel "già sentito" e dell'assordante. A metà strada fra il synth-pop legato alle suggestioni danzerecce e il classico repertorio delle ballads, Lotus forse manca di quel coraggio e di quell'ambizione precedentemente paventati e dichiarati, non è in grado di compiere un enorme balzo qualitativo in avanti rispetto a Bionic, eppure riesce con buoni risultati ad essere piacevolmente ascoltato e goduto.

Apripista della produzione è il singolo Your Body, uptempo elettro-dance catchy e radiofonica, perfetta per l'attuale scenario club, preludio alle analoghe atmosfere euro-house di Let There Be Love e della nostalgica Army of Me; seguono a breve distanza una piccola perla synth-funky dal sapore vagamente swing-retrò di Red Hot Kinda Love, traccia che sembra recuperare il revival di Back To Basics, e il soul/hip-hop dell'estatica Make the World Move, presentata in compagnia di Cee-Lo-Green (Gnarls Barkley), compagno di squadra a The Voice. Capitolo a parte meritano invece le slowjam e le ballate, vero e proprio perno della rinascita musicale-creativa di Christina: Blank Page porta immediatamente l'ascoltatore alla commozione piano-instrumental di Beautiful, Sing For Me si divide fra il contemporaneo sapore R&B e gli archi alla Mariah Carey, Cease Fire - un po' più dinamica del gruppo - è un trionfo orchestrale in procinto di flirtare tonalità dark-tribaleggianti, mentre Just a Fool (in coppia con Blake Shelton, altro membro della crew di The Voice) circoscrive il tutto con una corposa spolverata di rock melodico.

Dopo il buio, la sofferenza, il dolore e l'esilio, Christina Aguilera rivolge lo sguardo alla luce del sole con un buon album, semplice e senza troppi fronzoli, una fatica che magari non entrerà nell'Olimpo dell'arte sonora, ma che almeno fungerà da deciso riscatto a un lenzuolo di tenebra asfissiante e desolante, perdita troppo grave per un pop che fatica a ritrovare i veri valori.

Christina Aguilera, Lotus

Lotus Intro - Army of Me - Red Hot Kinda Love - Make The World Move - Your Body - Let There Be Love - Sing For Me - Blank Page - Cease Fire - Around The World - Circles - Best of Me - Just a Fool

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