Me lo sono proprio goduto il concerto che Cross e la sua band hanno, qualche mese fa, tenuto al Naima Blues Club di Forlì: classe e intelligenza musicale da vendere, ma anche altre cose meno scontate o addirittura inaspettate, tipo l'assoluto charme della sua corista e pianista Kiki Ebsen, una cinquantenne di Los Angeles dotata di sorriso ammaliante, fluido pianismo, preciso ed efficace timbro vocale solo leggermente roco, sì da rendere ancora più sexy l'insieme. Da sposare! (magari se si è un po' anzianotti...).

Molto meno arrapante (se non musicalmente) invece il buon Christopher, sovrappeso come sempre e nell'occasione con una buffa bombetta calcata in testa a celare l'avanzata calvizie. Le sue mani paffute carezzavano sapientemente la Stratocaster o la Taylor acustica, la sua vocetta assurda da mezzo soprano imperversava, intonata e riconoscibilissima, sopra quelle composizioni iper melodiche e impeccabili, scelte pescando qua e là nella decina di dischi pubblicati in trent'anni di carriera.

Questo disco ce lo fa ascoltare quasi agli inizi della stessa (1983) e trattasi della classica opera seconda, alle prese con l'onore e l'onere di far da seguito ad un esordio veramente col super botto (quattro grammies americani conquistati dal primo lavoro "Christopher Cross" del 1980). "Another Page" vendette tanto a suo tempo... milioni di copie, ma non come l'album precedente e dire che secondo me è il suo migliore, forse a pari merito con l'ottimo "Window" del 1995.

Siamo ben dentro gli anni ottanta, quindi obsoleti sintetizzatori scampanellanti e cafoni rullanti trattati col gated reverb la fanno da padrone. Come già successo per il disco d'esordio, ci si affida per iniziare ad una coppia di canzoni poco incisive, ma poi l'ispirazione si impenna e si mantiene fino alla fine, con tre o quattro melodie che a mio gusto si elevano particolarmente... e che passo senz'altro a segnalare.

La prima di queste è "What Am I Supposed To Believe" in duetto con Karla Bonoff, una cantante country-pop che allora rivaleggiava con la più fortunata Linda Rondstadt e la più brava Emmilou Harris in quel genere. La voce femminea di Cross non ha problemi ad alternarsi con quella dell'ospite sugli stessi toni: prima strofa a Cross, seconda alla Bonoff, la terza insieme ed il gioco è fatto.

Stessa riuscita per "Think Of Laura", sostanzialmente Cross e la sua chitarra acustica al meglio in una melodia sublime ispirata dal triste destino di una ragazza uccisa da un proiettile vagante: pop californiano all'ennesima potenza, ruffiano ed edulcorato per i denigratori, di classe sopraffina e quintessenza dell'easy listening intelligente e all'avanguardia (per i tempi) per gli amatori.

"All Right" tenta di ripetere i fasti della celebre "Ride Like the Wind" (coverizzata da tutti pure dai Saxon!) contenuta nell'album di esordio. Anch'essa è infatti un rock-funky-blues-pop alla maniera californiana, col suo caracollare enfatico e rotondo, molto ballabile. Il canto mezzo blues e mezzo intimista di Cross si fa sincopato e irresistibile nei ritornelli, ribadendo un vero e proprio standard di canzone di intrattenimento, oggi superata ma non certo migliorata da produzioni pop e dance assai meno interessanti.

Mia preferita fra le dieci canzoni del disco è comunque la ballata "Nature of the Game", in ragione di un clamorosamente emozionante impasto vocale della voce del titolare insieme a quelle di una buona metà dell'entourage degli Eagles (Don Henley, Glenn Frey e John David Souther) in occasione dei ritornelli e delle armonie a bocca chiusa di sostegno ai bridge.

Concludo con una rapida lista dei musicisti coinvolti nel disco, praticamente il meglio dei session men d'alto bordo di Los Angeles più alcuni affermati colleghi, ben contenti di partecipare al progetto dato che in quegli anni Christopher Cross era lo stato dell'arte, in quanto a musica leggera ma di talento: per quanto riguarda le voci, oltre ai già citati collaborano anche Art Garfunkel, Carl Wilson dei Beach Boys, Michael McDonald dei Doobie Brothers; le chitarre elettriche sono in mano a Jay Graydon e Steve Lukather dei Toto; al basso ci pensano Abraham Laboriel e Mike Porcaro (ancora Toto); i batteristi si chiamano Steve Gadd e Jeff Porcaro (Toto, naturalmente); Tom Scott ed Ernie Watts sono i sassofonisti; Paulinho da Costa e Lenny Castro i percussionisti, fondamentali negli arrangiamenti di Cross; Rob Meurer e il produttore Michael Omartian infine programmano e manovrano le tastiere.

Un vero difetto di quest'album è costituito dalla masterizzazione delle dieci tracce che compongono il ciddì: bassissima, spenta. Peccato perché i missaggi sono impeccabili ed anche i timbri degli strumenti, considerandoli in prospettiva anni ottanta e nell'ottica di pop rotondo e discreto perseguita dal titolare... uno dei dischi meno "sonori" della mia collezione, assolutamente bisognoso di rimasterizzazione.

Carico i commenti...  con calma