Nolan è un eccezionale narratore e un grande intrattenitore, un regista che realizza opere imponenti e smisuratamente ambiziose, in cui si prefigge di introdurre il grande pubblico alla complessità del mondo, della materia, della meccanica quantistica in modo accessibile e coniugando tematiche impegnative (e ovviamente ricorrenti) e spettacolarità da blockbuster puro. In questo, ha rincorso il modello kubrickiano lungo tutta la carriera, anche se ovviamente il paragone resta fuori luogo e improponibile sotto da tutti i punti di vista.
A Nolan interessano principalmente due cose: l'uomo e la fisica.
In un certo senso, si può addirittura dire che Nolan sia talvolta a metà tra il cineasta e il divulgatore quando si tratta di fisica teorica.
La fisica teorica, la tecnica, il tempo, sono alcune delle ossessioni del regista di Interstellar, e Oppenheimer è un nuovo capitolo di questa ricerca, che va, ora, a rievocare la vicenda del padre della bomba atomica; di colui che, di fatto, ha segnato una nuova fase nella storia del mondo. Mettendo la scienza alla base della doppia esplosione che ha ribaltato ogni concezione precedente sulle potenzialità distruttive del progresso e, soprattutto, nella fase politica successiva, imposto un nuovo ordine mondiale che è lo stesso attuale (evito speculazioni su per quanto lo sarà ancora).
Oppenheimer è un film appassionante, in realtà meno complesso di altri di Nolan, rispetto a lavori come Tenet, Inception e lo stesso Dunkirk (che per primo iniziava il discorso nolaniano sulla seconda guerra mondiale), è un'opera molto più convenzionale, forse anche a causa delle limitazioni del biopic.
È un film su una sconfitta: quella di un uomo che, pur preso da una megalomania senza precedenti nel suo ambiente, era forse sinceramente convinto che l'atomica avrebbe posto fine alle guerre, in virtù della dimostrazione di tale potenza distruttiva. Ma ha sbagliato perché non aveva considerato fino in fondo le implicazioni, per l'appunto, politiche.
Il vero nocciolo di Oppenheimer infatti è questo, e non tanto il processo che ha portato alla costruzione della due bombe che hanno spazzato via centinaia di migliaia di vite in Giappone.
La fisica è una materia, una disciplina, una teoria, e una bomba è un oggetto, un'esplosione una questione tecnica. Ma chiaramente, le sorti dell'umanità e del mondo sono sempre in mano all'uomo e alla politica.
Non è di per sè la più originale tra le riflessioni, ma indubbiamente mette di fronte alla reale problematica posta dal film, ovvero quella del potere.
Oppenheimer infatti è un film politico che Nolan è abile - come sempre da par suo - a metter in scena, alternando sapientemente piani temporali, in linea con la sua tipica narrazione non lineare.
Non si tratta per me di un capolavoro (l'unico di Nolan resta The Prestige). E anche in questo caso il regista inglese non rinuncia al suo didascalismo: sarebbe, per me, stato ad esempio molto più affascinante se non fosse stato svelato il dialogo tra Oppenheimer e Einstein, lasciando così il dubbio allo spettatore, vista tra l'altro la banalità di quanto detto nel suddetto dialogo.
Per citare il titolo di un bellissimo libro di Benjamìn Labatut che consiglio, in cui vengono proposte, in un contesto romanzesco, le vicende di vari pilastri della fisica, tra cui Einstein e Heisenberg, presenti nel film: quando abbiamo smesso di capire il mondo. E lo stesso Oppenheimer viene citato:
"Il primo settembre del 1939 - lo stesso giorno in cui i carri armati nazisti varcarono i confini della Polonia - Robert Oppenheimer e Hartland Snyder pubblicarono un articolo sul numero 56 della "Physical Review". Nell'articolo i fisici americani dimostravano al di là di ogni dubbio che "quando una stella sufficientemente pesante avrà esaurito la sua fonte di energia termonucleare, essa collasserà e, a meno che la sua massa non si riduca per fissione, radiazione o espulsione, tale concentrazione continuerà indefinitamente", formando il buco nero che Schwarzschild aveva profetizzato, capace di accartocciare lo spazio come un foglio di carta ed estinguere il tempo come fosse la luce di una candela, senza che nessuna forza fisica o legge naturale possa evitarlo."
È come se la bomba atomica fosse per il suo creatore un modo, oltre che di manifestare la sua voglia di farsi moderno "Prometeo americano", nonché Dio della morte, di rimettere ordine in una situazione fuori controllo come quella della guerra. Invece, la polverizzazione di Hiroshima e Nagasaki - che nel film resta giustamente fuori campo, così come lo sgancio di Little boy e Fat man - ha enfatizzato questo caos, dando poi il via a una serie di tradimenti, invidie, trame di potere. Le guerre non sono finite, come sappiamo, anzi l'ordigno atomico ha fatto da preludio e pretesto per la guerra fredda. Ed è curioso ricordare come la fine di quest'ultima, data dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, sia poi passata anche simbolicamente per Chernobyl, altra manifestazione di inferno in terra provocato dall'energia, dalla radiazione e, in ultimo, dalla tecnica.
I dilemmi morali e etici dietro l'evento che mise ufficialmente fine al secondo conflitto mondiale sono molto relativi e secondari, e mostrano piuttosto le grandi ipocrisie del personaggio Oppenheimer, che Cillian Murphy, al ruolo della vita (di quella cinematografica almeno, dato che in fondo lui sarà sempre Tommy Shelby) rende in modo straordinario, offrendo un'interpretazione titanica. Un'interpretazione dalle molte sfaccettature, perfetta per un personaggio tanto grande quanto controverso e problematico. E si candida giustamente già da ora per un Oscar nel 2024.
Alla fine di tutto l'eterno ripetersi è quello delle logiche di potere e della propensione umana alla distruzione e alla morte.
La fisica serve a scoprire i mondi, anche quando la scoperta non è magari piacevole o ribalta tutte le precedenti concezioni millenarie. L'uomo invece quei mondi tenderà a distruggerli ancora e ancora.
E il mondo è sempre più incomprensibile, caotico e prossimo alla fine.
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