È lecito sacrificare atrocemente la vita di 200.000 persone nella certezza che tale atto porrà fine ad una guerra?

Non è una domanda teorica, come risaputo: si tratta del maggior dilemma etico di fronte al quale sia stata mai posta l’umanità (agosto 1945: città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki).

Ed è la prima traccia delle innumerevoli disseminate nel film “OPPENHEIMER” di Christopher Nolan. Occorreva anticipare i nazisti (inizialmente in vantaggio nella costruzione della bomba atomica), e su tale strada si incammina il fisico statunitense – supportato da un team di valenti scienziati, anche europei – all’inizio neanche del tutto conscio delle possibili implicazioni del suo successo. Man mano che la corsa all’arma di distruzione di massa procede – nella base operativa di Los Alamos, tirata su dal nulla solo per questo obiettivo – i progressi vanno di pari passo con le visioni apocalittiche che assillano Oppenheimer, fino al momento in cui la Germania nazista capitola. Il Giappone non sta lavorando ad alcuna arma atomica ma, mentre la sua resa non arriva, la bomba è pronta.

In uno dei momenti più drammatici del film, i massimi livelli della politica statunitense – con il lucidissimo cinismo che contraddistingue i governi delle superpotenze – spiegano perché sono necessarie due bombe: la prima chiarirà al mondo che gli USA hanno “l’arma”, la seconda che può essere usata quante volte sarà necessario ad arrivare alla resa definitiva. Inutile dire che la previsione si rivelerà drammaticamente esatta: dopo Nagasaki il Giappone si arrenderà senza condizioni.

E gli scrupoli di coscienza di Robert Oppenheimer? Liquidati dal presidente Truman (impersonato da Gary Oldman, strepitoso come al solito nonostante appaia nel film per una manciata di minuti): riappropriandosi della scena al momento topico, ricorderà allo scienziato che lui è soltanto quello che ha creato la bomba, ma è il Presidente a decidere dove e quando sganciarla, a farla realmente esistere (e questo prima di congedare lo scienziato ed ordinare al segretario di Stato di non fargli più rivedere quel “piagnone”).

Com’era da attendersi, è proprio la politica la seconda (inevitabile) traccia del film: non a caso, quanto allo svolgersi della trama, il filo conduttore del film gira intorno all’inchiesta che, successivamente alla fine della guerra, verrà condotta sulle simpatie comuniste di Oppenheimer e sulle eventuali responsabilità di chi all’epoca l’aveva nominato a capo del progetto, in uno scontro tutto interno alla politica americana (in realtà, mentre combatteva i nazisti, il governo statunitense era già conscio che il reale pericolo negli anni a venire sarebbe arrivato dall’Unione Sovietica). Il dilemma etico sulla bomba atomica, sembra dire Nolan, in termini di complessità è nulla rispetto ai dilemmi nei quali riescono a dibattersi gli alti livelli della politica, a volte come maiali nel fango.

Come anticipato, sono innumerevoli le tracce suggerite da “Oppenheimer” (chi conosce Nolan – da “Memento” a “Inception”, da “Il cavaliere oscuro” a “Interstellar” – sa bene che si tratta del suo inconfondibile modo di fare film): non intendo andare oltre le due già individuate, che a mio giudizio costituiscono l’ossatura pregnante della pellicola. Non mancano, in ogni caso, i momenti in cui anche la scienza si fa pragmatismo: "affilatissima" la scena in cui Oppenheimer esterna al suo amico Albert Einstein tutti i dubbi relativi all’innescarsi di una reazione a catena che potrebbe distruggere il pianeta; se i calcoli dimostreranno questa conclusione, gli risponde l’ormai anziano scienziato, basterà condividerla con i nazisti e nessuno avrà più il coraggio di sganciare alcunché. Occhio lungo, potrebbe dirsi: il fatto che la bomba atomica (oggi ben più distruttiva) sia un deterrente prima ancora che un’arma – come ricordato ad un certo punto del film – è testimoniato dal fatto che dopo Nagasaki nessuno ha più inteso usarla se non come minaccia.

In definitiva, se cercate un motivo per vedere il film, non so dire se dal punto di vista cinematografico sia del tutto convincente, ma sul valore di ricostruzione storico-politica ho davvero pochissimi dubbi.

P.S.: sono passati decenni da quando Sting si chiedeva " How can I save my little boy from Oppenheimer’s deadly toy" (Come posso salvare il mio bambino dal giocattolo mortale di Oppenheimer). La canzone è "Russian". Ma Nolan suggerisce che forse non è questo il vero problema.

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