Mio Dio Kevin, era davvero il caso di mandare tutto a puttane, così? Avevi tutto, tutto. L'iperuranio in terra, forma quasi surreale di para-perfezione, tu, la tua tastiera, la tua vena umanista-romantica.
Lei, è lei "tutto". Amplifica l'assonanza tra "musa" e "musica", rende femminile "lo" amore, scardina, talvolta, solo talvolta, ricompone. Credi davvero me ne freghi qualcosa del resto? Sono impossibilitato a fregarmene. Non ci riesco. "I'll never be open again". "I could never be open again". Ho immaginato, viaggiato, infine scoperto una nuova essenza di realtà; vedo le cose da un'altra prospettiva. Chiamala fittizia, fa come ti pare, fa niente: come soleva dire quel vecchio saggio orientale, ci vuole una vita per comprendere che, nella vita, non è necessario comprendere tutto; e allora vada per l'esistenza su pagina, e tanti saluti a tutti quanti. Distanti, ma - finalmente - nitidi.
Kevin Moore, ovvero l'individuo che abbandonò, senza preavviso alcuno, i Dream Theater - quelli, piacciano o meno, all'apice della maturità sonora ed espressiva, quelli al massimo successo -, per ritirarsi in solitaria in Costa Rica, a condurre una trasmissione radiofonica per un ente locale. Nel mezzo, il tempo per un viaggio stile "on the road", dalla California al New Mexico, giusto per ispirare (ed ispirarsi per) questo lavoro. Isolato dal mondo, dal pubblico, da lei. Già, quasi dimenticavo, lei. Croce e delizia. Musa e musica. Musa è musica. E se ciò che accade nella vita reale, non è esclusa la possibilità di modulare stile e attitudine verso lidi distanti, in fuga verso galassie lontane, ove volontà di scordare e ardore di scoprire trovino coincidenza.
Arte è amore, si influenzano specularmente, su binari paralleli. Niente sarà più come prima. Come qualcosa che ristagna in profondità, esce lentamente, quasi a sussurrare "ciò che vedi è solo una minima parte, una fottutissima minima parte, vorrei gridare, urlare, sbraitare...", ma - con qualche affanno - razionalizzo, spinto da una musa fidata in un lago infuocato, ove possa ardere lentamente, per acquisire consapevolezza, e forza, ed espiare la bestia che dall'interno si diverte a divorare ogni cosa, a proprio insindacabile godimento, e fruizione.
A volte si giunge ad una svolta. E se dolore è apprendimento (pathei-mathos), se ne può uscire discretamente, qualche livido d'accordo, qualche frattura, forse. Ma le ossa ricrescono rapide, e più forti, e anche se nessuno cancellerà il trauma, anche se ne porterai appresso i segni, "even the waves won't carry (you) away". Nemmeno le onde.
Lo canterò al mondo. Al mio mondo. Va all'inferno Mary, me ne vado in Messico, e chissà, magari perirò, o forse imparerò a volare. Mi rimetto in gioco, sia quel che sia, è necessario. Al buio, solo, abbandonato a e pure da me stesso, aggrappato a quella sottile penombra presaga, presaga di uno spiraglio di luce fioca, e al contempo abbagliante.
Ma non ho più paura. Nulla è ignoto all'uomo che rischia. Per vedere più nitidamente, per accedere ad una visione "altra", sarà sufficiente... chiudere gli occhi.
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